venerdì 19 maggio 2017

Attualità:Nel 2016 più di 28 milioni di consumatori. L’indagine Censis per Federvini


 Il vino come” variante dello stile di vita degli italiani”: lo definisce così uno studio presentato dal Censis in occasione della assemblea annuale di  Federvini tenutasi a Roma il 17 Maggio, in cui è stato riconfermato presidente Sandro Boscaini, patron di Masi. Da sempre parte integrante della buona dieta  italiana, il vino dal 1983 non ha visto ridursi la quota dei consumatori che è rimasta sempre al disopra del 50%( il 51,7% nel 2016) Si è invece ridotta la quota dei grandi consumatori cioè di coloro che ne bevono oltre mezzo litro al giorno) passando dal 7,4 del 1983 a ad appena il 2,3% del 2016. I due andamenti indicano in sostanza che i consumatori di vino nel nostro paese sono tanti, ben 28 milioni, e che il vino è un bene di tutti e per tutti, da consumare con maturità e attenzione alla qualità. Per quanto riguarda l’età: il 54,6% degli italiani hanno 65 anni e oltre, il 58,4%  età compresa tra i 35 e 64 anni, il 48,6%, i giovani  tra i 18-34 anni. Nell’acquisto del vino- rileva l’indagine- conta la provenienza italiana con il marchio certiificato, il fattore che maggiormente influenza la scelta tanto da determinare anche il valore sociale del vino. Passando all’aspetto economico: fra il 2013-015 la spesa del vino è salita del 9% con una spesa individuale aumentata dell’8,1% rispetto l’alimentare che è invece diminuita . Cultura, tradizioni, sagre, feste , ristoranti: il vino è anche un grande indotto economico per un totale di ben 24 milioni di persone che hanno partecipato ad almeno una di queste attività.


Sandro Boscaini, Presidente Federvini

Curiosità: Cocktail, una parola strana




Come è nata la parola cocktail? Il termine è di origine anglosassone ed è composto da “cock” ( gallo) e “tail”(coda).Traducendo letteralmente si ha ”coda di gallo”, che non ha nessuna attinenza con una bevanda alcolica .L’origine della parola pare sia riferita ad un particolare fatto di costume dei secoli scorsi, quando erano di moda i combattimenti fra i galli in Spagna, Inghilterra, Francia del Nord. Queste” gare” crudeli avvenivano in taverne frequentate da forti bevitori e le penne del gallo perdente, diventavano un trofeo per l’avversario . La leggenda dice che il proprietario di un’ osteria, in seguito alla vittoria di uno dei suoi galli da combattimento, servì agli amici una miscela alcolica che , per l’occasione, prese il nome della parte più appariscente dell’animale. Da qui il termine cocktail o coda di gallo che, nella bevanda, derivava anche dai colori usati per la preparazione. Altre fonti indicano che la bevanda sia nata a New Orleans per opera del farmacista Antoine Amedee Peychaud, il quale versava i suoi rimedi- “elisir”- in uno speciale contenitore, chiamata “coquette”, la cui forma ricordava un portauovo.  Per semplificare le cose, i vari clienti quando desideravano questi elisir, chiedevano un “coquetier”, un dosatore simile a un bicchierino. Con il passare del tempo il nome si accorciò in cocktay e successivamente si arrivò al cocktail.
Ci sono altre leggende sulle origini di questa parola che, oggi ha assunto un altro significato: indica un’ora della giornata dedicata agli incontri amichevoli, alle occasioni di lavoro e di rappresentanza. Nel 1930 fu Tamara de Lempicka ,un’ icona dell’art Dèco ,di ritorno dall’America a introdurre a Parigi l’uso del cocktail con inizio  alle ore 17 e invitati liberi di organizzare la serata a piacimento.
I sommelier e i barman classificano i cocktail in varie categorie: “Pre-dinner”-“ Long-dinner”, quando contengono un grado alcolico diluito e sono bevande rinfrescanti e dissetanti in cui gioca un ruolo importante anche la parte estetica della guarnizione. Un long-drink di facile realizzazione è il “ Bellini”( creato nel 1948 all’Harris Bar di Venezia, da Giuseppe Cipriani e dedicato al pittore Giovanni Bellini). Si prepara unendo il Prosecco di Conegliano al succo di pesca bianca ottenuto pressando il frutto. Miscelare e versare con cautela per non sviluppare una schiuma eccessiva.


(Renzo Pellati “ La storia di ciò che mangiamo”- Daniela Piazza Editore)

Ricerca: Donna e alcool: E’ solo questione di vulnerabilità biologica o anche di età?



E’ giusto ogni tanto ricordare alcune evidenze in tema di salute pubblica e quella della dipendenza da alcool è una epidemia globale che investe tutto il pianeta e costituisce una emergenza sanitaria e sociale ma anche politica perché richiede sforzi comuni a molti paesi, per essere affrontata. Anche se noi abbiamo sempre parlato di consumo moderato identificando modalità e consumi, non possiamo non ricordare che esiste una differenza di genere ben documentata sugli effetti dell’abuso  e dipendenza di alcol tra uomini e donne. Differenza di genere non più così marcata per il cambiamento di usi e costumi del bere: primo tra tutti l’abbassamento di età del primo bicchiere e una sostanziale equivalenza tra ragazzi e ragazze nella fascia di età tra i 12-17 anni. Due studi epidemiologici effettuati negli anni 80 e 90 hanno dimostrato un incremento sorprendente nella popolazione femminile con una prevalenza raddoppiata di disturbi, in dieci anni. Gli studi di genere non sono molto numerosi ma rimandano al quesito principale” la donna è fisiologicamente e biologicamente più vulnerabile dell’uomo agli effetti del’alcool?”. La risposta sembra essere si. Le donne rispetto gli uomini vanno incontro a intossicazioni più gravi, come danni ai processi cognitivi e nelle prestazioni psicomotorie e in tempi più brevi. Rispetto gli uomini sviluppano cirrosi e epatiti dopo un periodo più breve di eccesso al bere e con quantità giornaliere minori di alcol. Dimostrato un rapporto alcol-tumori soprattutto per il cancro alla mammella e con un tasso di mortalità maggiore per tutti i tumori alcol-correlati. Tutte le evidenze cliniche dimostrano che nelle donne l’abuso di alcol ha un effetto più pesante sulla salute in particolare per le donne giovani che fanno uso dei contraccettivi... Colpa di una minore capacità di assorbimento dell’alcol circolante nel sangue, della quantità di alcool ingerito, della  quantità e tipo di cibo presente nello stomaco, dalla modalità di assunzione e dalla struttura corporea della donna.  Studi recenti hanno dimostrato che oltre il sesso è importante l’età:  confrontando uomini e donne per fasce di età, la capacità di metabolizzare l’alcol nella fascia 20-40 anni è massima per gli uomini e minima nelle donne, nella fascia 41-60 il rapporto si inverte, nella fascia 61-80 l’attività diminuisce per entrambi e le differenze si appiattiscono Tante variabili che portano a consigliare il consumo moderato e quotidiano del bere. Bere si ma di qualità, l’alcol fa male quando non lo si conosce e non lo si sa gestire, soprattutto quando parliamo di vino…

Fonti: Istituto Superiore di Sanità

Ricerca: Un bicchiere di moderazione

E' questo il titolo di una ricerca dell'Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro (AIRC) che abbiamo scelto per spiegare come deve essere inteso il rapporto alcool-tumori.


Non servono sforzi sovrumani per ridurre il rischio di ammalarsi di cancro.
In alcuni casi basta un po’ di moderazione.
Per esempio con le bevande alcoliche che, se consumate in eccesso, sono delle vere e proprie sostanze cancerogene. È lungo l’elenco dei tumori il cui rischio può aumentare se si eccede con il consumo di alcolici:
·         tumore alla bocca
·         tumore all'esofago
·         tumore a laringe e faringe
·         tumore allo stomaco
·         tumore al fegato
·         tumore alla cistifellea e alle vie biliari
·         tumore al pancreas
·         tumore al colon
·         tumore al seno
Gli studi scientifici più rilevanti sulla relazione tra alcol e cancro sono stati passati in rassegna da un gruppo di ricercatori internazionali per conto dello IARC (International Agency for Research on Cancer), l’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che si occupa della promozione e del coordinamento delle ricerche internazionali sulle cause dei tumori nell’uomo. Lo studio ha analizzato gli effetti dell’alcol su 27 parti del corpo e ha concluso che le bevande alcoliche possono essere considerate a tutti gli effetti cancerogene.
Secondo il gruppo bastano 50 grammi di alcol al giorno, equivalenti apoco più di tre bicchieri di una bevanda alcolica, per aumentare di due o tre volte il rischio di tumori della cavità orale, della faringe e dell’esofago rispetto ai non bevitori. Sempre 50 grammi al giorno è la quantità sufficiente a far aumentare del 50 per cento il rischio di cancro al seno nelle donne, anche se ne bastano appena 18 per registrare un primo aumento del rischio rispetto alle astemie. Con la stessa quantità aumentano del 40 per cento le probabilità di sviluppare il cancro al colon retto rispetto a quelle di chi non beve mai.
L’alcol è però soprattutto causa di cancro al fegato e potrebbe aumentare il rischio di tumore dello stomaco e dei polmoni.
L’alcol svolge la sua azione cancerogena in diversi modi: può danneggiare alcuni tessuti o organi (come quelli della bocca o il fegato) e se, durante il tentativo di riparazione, si verificano “errori”, alcune cellule possono diventare cancerose. L’alcol, inoltre, nel processo di smaltimento, può essere trasformato in sostanze dimostratesi responsabili di causare tumori.
Ancora, può interagire con altri composti dannosi come il fumo, potenziandone i loro effetti nocivi o ridurre la capacità protettiva di alcuni nutrienti.
Infine l’alcol può indurre un aumento nella produzione di ormoni come gli estrogeni, anch’essi responsabili di un aumento delle probabilità di ammalarsi di alcune forme di cancro.
Anche se i potenziali danni dell’alcol sono molti, la buona notizia è che basta ridurre al minimo il consumo di bevande alcoliche per ridurre le probabilità di sviluppare questi tumori.
Tenendo conto che nessuna bevanda alcolica è sicura: anche il vino, che potrebbe svolgere una qualche funzione protettiva per il sistema cardiovascolare, quando si superano le dosi consigliate aumenta le probabilità di ammalarsi di tumori. Il fattore determinante, infatti, non è il tipo di bevanda, ma l’alcol in essa contenuta.
Per questa ragione è preferibile evitare i superalcolici che contengono un elevato tasso di etanolo.

Ridurre il consumo di alcol, inoltre, non abbassa soltanto il rischio di ammalarsi di cancro. L’alcol infatti può danneggiare le cellule di molti organi tra cui il fegato e il sistema nervoso centrale. Inoltre, è una sostanza in grado di indurre una dipendenza più forte di quella di molte droghe.

Cultura:Vino e arte che passione! 2017

La prima manifestazione che coniuga il nettare degli dei all’Arte



II Edizione
Domenica 21 maggio 2017

Casino dell'Aurora Pallavicini
Via Ventiquattro Maggio, 43, 00187 Roma

Orario al pubblico: 15:00 – 20:30
Ingresso: € 25,00

Un’occasione unica per degustare il meglio della nostra produzione vinicola italiana esplorando i segreti di alcune opere inedite dell’arte antica. La straordinaria cornice del Casino dell’Aurora Pallavicini aprirà i suoi spazi in via esclusiva a CT Consulting Events per ospitare la seconda edizione dell’originale format VINO E ARTE CHE PASSIONE, dove oltre 50 aziende offriranno in degustazione il meglio delle loro produzioni e annate. L’elenco è vario e diversificato, comprendente quest’anno ben 15 regioni italiane: Abruzzo (La Valentina, Zaccagnini); Alto Adige (Tiefenbrunner); Friuli Venezia Giulia (Borgo Conventi, Nonino, Perusini); Lazio (Falesco, Paolo e Noemia D’Amico, Principe Pallavicini, Tenuta di Fiorano); Lombardia (Cantine Biondelli, Le Marchesine, Travaglino); Marche (Conte Leopardi); Molise (Di Majo Norante); Piemonte (Castello di Gabiano, La Scolca, Pio Cesare, Tenute Sella); Puglia (Rivera); Sardegna (Argiolas); Sicilia (Baglio di Pianetto, Barone di Serramarrocco, Marchesi di Sangiuliano, Murgo); Toscana (Boscarelli, Castellare, Castello Del Terriccio, Col D’orcia, Tenuta Fertuna, Frescobaldi, Mazzei, Petrolo, Ruffino, Tenuta San Guido); Trentino (Bossi Fedrigotti, Letrari, Tenuta San Leonardo, Trentodoc); Umbria (Antinori); Veneto (Bertani, Col Saliz, Conte Emo Capodilista, Masi Agricola, Serego Alighieri, Villa Sandi). Presenti anche con banchi di assaggio gastronomici il prosciuttificio Erzinio e Oleonauta.
Ad integrare la conoscenza enologica compiuta vis-à-vis con i responsabili delle aziende, sarà inoltre prevista una visita accompagnata ai tesori conservati nel seicentesco Casino dell’Aurora, gioiello dell’epoca barocca fatto edificare dal cardinale Scipione Borghese: a partire dalle 15:30 e ogni ora fino alle 19:30, i convenuti alla manifestazione potranno essere guidati alla scoperta di opere per molti poco conosciute e  dal valore inestimabile, quali l’affresco de “l’Aurora” di Guido Reni, i dipinti di Luca Giordano, Guido Reni e Annibale Carracci, la facciata impreziosita da lastre di sarcofagi romani del II e III secolo dopo Cristo, nonché le sculture antiche che abbelliscono la sala centrale del Casino, come la Minerva, la Diana cacciatrice, e le statue della scala d’ingresso, detta “la Pastorella”. Le prenotazioni alle visite verranno effettuate in loco il giorno stesso.
L’accesso all’iniziativa, che ha già destato l’anno scorso, in occasione della prima edizione, molti consensi all’interno della Pinacoteca del Tesoriere, è aperto a tutti (minorenni e animali esclusi) a partire dalle ore 15:00. Biglietti d’ingresso al costo di € 25,00 incluso un calice “cadeau”, in vendita esclusivamente online sui siti www.vinoeartechepassione.it e www.eventbrite.it

L’evento è supportato da Chopard, Rocchetta, Fedeli Cashmere, Istituto Trento Doc, Nonino, Paolo e Noemia d'Amico, Principe Pallavicini


Il cibo e il vino sono presenti in molte forme di rappresentazioni artistica e lo sono sin da tempi antichissimi. Un binomio che si è andato sviluppando con l’affermarsi del Modello Italia( per favore non usiamo più il Made in Italy) sia con investimenti che hanno riguardato  le cantine realizzate da archistar famosi,  etichette e forme di packaging , sia con uno sviluppo più moderno e strutturato che ha visto coinvolti da un lato produttori vitivinicoli , dall’altro sviluppo della cultura legata all’arte. Va ricordato il restauro dell’affresco della Madonna della Cintola di Benozzo Gozzoli,, finanziato dal Consorzio dei vini di Montefalco e il  restauro del tempio di Selinunte da parte della cantina siciliana Settesoli . Nel Lazio numerosi scavi sono stati  realizzati da Casale del Giglio per Satricum, l’antica città dei Volsci. Interessante l’iniziativa del Consorzio tutela del Gavi e del Cesit Centro studi per il Turismo dell’Università di Bergamo che hanno effettuato un indagine che ha riguardato più di 219 progetti il cui campione ha riguardato 99 musei  tematici ovvero percorsi dedicati alle metodologie di produzione (circa il 50% del totale) 50 aziende che hanno sponsorizzato eventi culturali (22,8%)installazioni artistiche all’interno di aziende agricole( 13,2%) opere d’arte disseminate nei grandi parchi che circondano le caves come in Franciacorta, Cà del Bosco…
L’arte  “vive”  dentro realtà di cui il vino è espressione e diventa anche volano economico come dichiarato dalle aziende, la cui visibilità è aumentata del 100%. Il vino è cultura e molti produttori amano esporre i loro prodotti in location di alto livello. Non chiamiamole semplicemente degustazioni, ma momenti felici che celebra un matrimonio d’amore: arte e vino. 

Altitudine: la lente di ingrandimento per capire i grandi vini di montagna. Il caso alto Adige



 “ Dalle Valli Alle Vette” : non poteva esserci titolo più accattivante per il banco di assaggi di 50 etichette che hanno rappresentato la produzione vitivinicola altoatesina di almeno 200 cantine dell’Alto Adige. L’evento si è tenuto all’hotel Westin Palace di Milano, organizzato dal Consorzio Vini Alto Adige in collaborazione con la delegazione AIS di Milano
Altitudine: una sorta di lente di ingrandimento per capire i vini di montagna  partendo da un dato storico visto che il nostro Paese era la culla della viticoltura di collina e di montagna tanto che i romani e prima ancora gli etruschi preferivano i declivi collinari che furono abbandonati con al dissoluzione delle proprietà monastiche e della nobiltà. Oggi i vini di montagna- dopo un lunghissimo periodo di abbandono, salvo gli eroici pochi imprenditori, sono tornati a reclamare e giustamente il loro grado elevato di nobiltà.  Complice il surriscaldamento del clima così che aree come il Trentino-Alto Adige possono trarre vantaggio da quote  con caratteristiche climatiche adatte alla coltivazione della vite. Parliamo di acidità elemento fondamentale per le uve base spumante che può essere compromesso dalle elevate temperature. Per conservarlo esistono due metodi: anticipare la vendemmia o piantare i vigneti in altitudine dove l’acidità è garantita dalle forti escursioni termiche notturne e diurne. Un tempo per le uve bastava un’altitudine di 350m.s.l. oggi, non meno di 500. La maturazione dell’uva avviene soprattutto in presenza di luce, maggiore ovviamente  in rapporto all’altitudine dove arriva una migliore illuminazione. Non dimentichiamo ovviamente il calore che aumentano la gradazione alcolica ma questo elemento in montagna è favorito proprio dalla più lunga esposizione solare. Certo è che  alzandosi dal livello del mare si ha un graduale abbassamento di temperatura che fa ritardare la maturazione ma qui entra in gioco una sorta di jolly che rimescola le carte: la latitudine elemento che con l’altitudine determina il clima di una località. E’ proprio il ruolo ambientale che concorre ad alcune caratteristiche dei vini di montagna: sono più biologici di quelli di pianura perché ottenuti spesso con minore ricorso ai trattamenti. Hanno una maggiore finezza aromatica , un gusto sorprendente e certamente non omologato frutto di una ricerca che si rivolge soprattutto ai vitigni autoctoni. Torniamo allora al lungo percorso della degustazione: dai 200 metri del lago di Caldaro ai  1.000 metri di Magrè, dalla ricchezza e morbidezza dei Pinot Grigio, Lagrein e Cabernet che prendono vita ai piedi delle colline, ai profumi del Sylvaner, Riesling, Muller Thurgau e Kerner ad alta quota, passando per la fragranza e la succosità della fascia collinare con i suoi Pinot Bianco, Sauvignon e Gewurztraminer e bollicine. Per le medie altitudine si fanno avanti i rossi come il Pinot Nero stupendi per finezza e sottigliezza.

La storia dei vini di montagna non finisce qui: ne riparleremo con le infinite sfaccettature dei luoghi pardon delle altitudini di cui ne sono espressione.




sabato 6 maggio 2017

Attualità: Vini autoctoni: la risposta Italiana all’omologazione del gusto


Dal greco AUTOS/ stesso- e CHTHON/ terra deriva il termine autoctono: un nome che indica che quel vitigno è nato e si è sviluppato in un preciso luogo geografico adattandosi a quel terreno quasi a confondersi  con esso. Sull’autoctono il nostro paese gioca una partita importante puntando sulla biodiversità del territorio- caratteristica geologica dell’Italia- in grado di produrre vini di eccellenza dalle infinite sfumature di odori e sensazioni gustative. 350 tipi classificati non sono pochi, ma saranno certamente negli anni, moti di più a siglare climi diversi, lo studio di particelle territoriali, a intensificare la zonazione. Autoctono un volano economico per aziende grandi e piccole capaci di valorizzare prodotti,  creare posti di lavoro soprattutto per i giovani e a promuovere quell’enoturismo su cui potrebbe vivere comodamente l’Italia senza la spremitura delle tasse! Autoctono un sorvegliato speciale da Enti e Associazioni perché non sia mai che perda la sua identità.
Autoctoni. Tanto da raccontare: Lo faremo puntando ogni volta su  alcune regioni .
E allora parliamo della Tintilla, vino molisano autoctono per eccellenza. La sua storia risale agli anni del Regno Borbonico circa alla metà del 700. Lo certifica il suo DNA e le ricerche condotte dall’Università degli Studi del Molise. Tintilia dallo spagnolo “Tinto” che vuol dire appunto, rosso. Nonostante le sue origini antichissime questo vino è stato messo da parte negli anni 60, quando i coltivatori molisani preferirono le zone di coltivazioni pianeggianti favorendo la quantità più che la qualità. E’ l’unico vitigno interamente autoctono molisano la cui produzione è permessa solo in questa regione, da uve rigorosamente provenienti da vitigni che rispettano i canoni di coltivazione quali la resa, l’altezza di coltivazione non superiore i 200m s.l.m. e la distanza tra i ceppi. Baccanera, colore carico, gusto rustico per un vino che ha ricevuto la DOC nel 2008 e l’iscrizione al Registro delle Varietà  di Vite, nel 2012. Grande Di Majo Norante!
Da Sud a Nord con la Schiava, Lagrein, Gewurztraminer, gli ambasciatori del vino altoatesino: i tre vitigni autoctoni del Trentino, già citati nelle cronache del Medioevo sono stati dimenticati fino quasi 15 anni fa  ( la Schiava ha addirittura rischiato l’estinzione). Tirati fuori dal cassetto dei vignaioli : oggi il Gewurztraminer aromatico è il pezzo forte dei vini bianchi, il Lagrein è fiore all’occhiello dei vini rossi altoatesini mentre la Shiava, leggero rosso altoatesino è in fortissima ripresa.

Il santa Maddalena è il vino da uvaggio più noto. Partendo dalla piazza principale di Bolzano e, dirigendosi verso la passeggiata del Guncina, si possono ammirare i vigneti del GEWURZTRAMINER. Nel giardino della tenuta  Hosfatter si possono avere tutte le informazioni per quello che è un proprio divo.

3° Viaggio studio

FRANCIACORTA: quando c’è la squadra



Ci voleva la rivoluzione geologica dell’era Secondaria e Terziaria per formare quel piccolo gioiello di natura che è la Franciacorta di oggi.  I depositi morenici  che si sviluppano lungo l’anfiteatro sebino costituito da colline a cerchio in modo concentrico rispetto il lago d’Iseo,  si sono formati almeno 5 milioni di anni fa, a seguito della discesa dei ghiacciai  dando luogo appunto, alla matrice morenica dei suoli. Una doverosa e speriamo non noiosa spiegazione geologia perché è proprio  questa matrice morenica che caratterizza le numerose rocce che affiorano costituite sia da calcari marnosi di colore dal grigio al bianco, sia delle arenarie grigie e compatte. Lo scioglimento dei ghiacciai ha completato  l’opera con i caratteristici depositi alluvionali per raggiungere l’attuale stratificazione pedologia. Come in tutti i terroir italiani la loro caratterizzazione morfologica , pedologica e climatica conferisce l’imprinting dei vigneti e dei vini di cui sono espressione.
Suoli importanti, ricchi di Sali minerali che conferiscono ai vini di Franciacorta grande mineralità, sapidità, corpo e struttura. Note fresche, di frutta,  macchia mediterranea, balsamicità, la famosa crosta di pane più o meno accentuata, la leggera speziatura e tannicità data quest’ultima dalla presenza del Pinot Nero, non fanno che arricchire un corredo olfattivo e gustativo per sua natura complesso.
Le tre Maestà Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero giocano e si rincorrono in percentuali, dosaggi dalle mille sfumature e le cuveè cui concorrono decine di uve, vengono sapientemente  assemblate in cantina , quasi in penombra dallo chef du cave. Magia, alchimia o più semplicemente passione, professionalità, sensibilità di colui su cui pesano tante responsabilità..  E’ palpabile  e percepibile, girando per  queste cantine che nulla hanno da invidiare alle grandi maison francesi  e nei vigneti, il senso di attesa che accompagna ogni momento  del percorso del vino. Attesa per la qualità dell’uva, attesa alla maturazione, attesa per quello che in vigna potrà essere il vino dopo anni di fermentazione, sempre costante nella qualità
..Franciacorta ha tempi lunghissimi di affinamento per garantire il massimo di sé. Non si aggiunge zucchero, i lieviti sono ridotti al minimo: meglio che lavori la natura, il dosaggio zero  raffinato e legante non trova competitori nemmeno in Francia, il colore giallo paglierino squillante è segno di buona salute,le riserve , i millesimati , i saten hanno avuto importanti riconoscimenti addirittura da Robert Parker, il guru della comunicazione per la Cuvee Annamaria Clementi 2006 tra i migliori 50 vini del mondo nel 2015
Ma  Franciacorta è molto altro ancora: innanzitutto il Consorzio costituito il 5 Marzo del 1990  per garantire e controllare il rispetto della produzione del vino , prodotto esclusivamente con il metodo della naturale rifermentazione in bottiglia. Il Franciacorta nel 2002  può essere designato con la sola parola “ Franciacorta” senza altra aggiunta, senza la DOCG, per la fama raggiunta
 Molto altro ancora : il  gioco di squadra compatto e disciplinato in cui tutti i  produttori- al momento 116- grandi e piccoli si riconoscono con le stesse regole e il medesimo spirito di imprenditori.. Nascono imprenditori   Moretti, Zanella, Bonomi, Berlucchi, Cavallotti, Gatti. con la  testa che progetta e  guarda in avanti, attenti alla economia e ai bilanci : pensano in grande e progettano in grande Un numero: la produzione dell’intero consorzio in sei anni è  passato da 9 a 16,5 milioni di bottiglie , con una certificazione al 70% di produzione biologica. “ Nessuno dice l’AD di Vittorio Moretti, ha la vigna migliore, ma quello che vale è l’annata migliore la cui continuità  nei vini, conferisce l’identità dell’azienda. Una identità che solo la cuvee- quel magico momento di assemblaggio delle basi, può fornire”

Un filo rosso che lega il territorio con tutte le sue caratteristiche. I vitigni di cui ne sono l’espressione  scoperti e valorizzati da uomini-imprenditori  che hanno saputo realizzare  meglio” imbottigliare” in vini pregiati . Un unicum, un cru nel panorama mondiale che non potrà mai raggiungerei i grandi numeri dello champagne francese, ma che ha ancora molto da dire  in numeri e qualità.



Attualità: Castello Bonomi : il mentre e il dopo la Degustazione


 Colloquio e considerazioni con lo chef du cave, Luigi Bersini


Risultati immagini per Castello Bonomi

Grande longevità, incredibile freschezza, potente mineralità, corpo e struttura tali da regalare sensazioni uniche, lunghi, lunghissimi affinamenti sui lieviti prima della sboccatura (addirittura 100 mesi per il premiato Cru Perdu  millesimato 2004-) tali da garantire il loro consumo per molto tempo. Tutti i vini  prodotti da Castello Bonomi sono espressione del territorio, meglio- del Monte Orfano. Ne vanno fieri i Paladin proprietari -tra l’altro- di Castello Bonomi, ne va fiero lo chef de cave Luigi Bersini che ci ha guidato lungo il percorso della cantina e ha fatto l’expertise tecnico della degustazione, supportata per la parte gustativa  da Luciano Mallozzi l’Esperto bollicine di Bibenda.
MONTE ORFANO: ma cosa ha di così  speciale  questa leggera altura tanto da essere considerata un unicum  nel panorama   geologico della Franciacorta.  Cinque milioni di anni fa  prende forma la Franciacorta- con i caratteristici suoli  morenici, ma Monte Orfano decide di prendere un'altra strada. Si disgrega  dando luogo a un conglomerato calcareo e non morenico. In questa zona quindi, i terreni hanno una diversa colorazione: tendente al rosso in superficie perché ossidati per effetto, nel tempo, dell’azione dell’acqua e del vento, per acquisire una colorazione biancastra man mano che si scende in profondità  verso strati argillosi con parti di conglomerato calcareo molto somigliante alle marne francesi.”
Terreni importanti,-dice Luigi Bersini- che regalano ma pretendono”
 Assemblata alla degustazione inizia il mio “ viaggio” con Luigi Bersini. Spiegazioni tecniche (le sue) considerazioni e assaggi (le mie),  mi hanno regalato bellissime emozioni e la conoscenza di un CRU nel CRI quale è Castello Bonomi  in Franciacorta.

 Questi i magnifici TRE  in degustazione:

CRU PERDU 2009.
Chardonnay 70%- Pinot Nero 30%. Affinamento sui lieviti di otre 36 mesi prima della sboccatura e poi altri 12 mesi in bottiglia
Colore giallo paglierino, brillante. Ottimo stato di maturazione delle uve. Eccellenza di un prodotto  dai lunghi tempi di affinamento.
 Naso: grande spettro olfattivo e ventaglio aromatico di frutta matura. L’importante  mineralità e  sapidità  caratterizzano questo Cru Perdu e tutti i vini di un terroir che può essere definito un cru della Franciacorta.  Molta coerenza tra naso e palato dove si rincorrono i sentori mielati, minerali, la grande freschezza e della morbidezza naturale del prodotto.
 Come sostiene lo chef du cave,” il Cru Perdu è figlio di un territorio che fa suoi i principi della sostenibilità e della viticoltura ragionata cioè di un sistema che mette insieme  in equlibrio, la zonazione, la cura maniacale delle particelle, l’ agricoltura di precisione, la biodiversità nel rispetto dell’ambiente, dell’uomo e a tutela della qualità.”
 PAROLE? Direi onestà intellettuale e etica di Luigi Bersini tenace sostenitore della naturalità dei vini Bonomi  il cui percorso – dalla vigna alla bottiglia- vede l’intervento dell’uomo solo in pochi e indispensabili momenti. Il rispetto della natura si realizza già nel momento- lungo- della fermentazione che non prevede l’aggiunta di lieviti selezionati. Le basi, tre, contenenti ciascuna almeno 20 tipi di uve- danno luogo ad un assemblaggio che costituirà la base dei futuri spumanti. Non si sottraggono certamente all’uso dei lieviti selezionati scelti da quelli prodotti nello Champagne, ma il loro dosaggio è ridotto all’indispensabile e per il tipo di vino che si andrà a formare. Tutto qui? Certamente no perché a supporto della natura c’è l’alchimia, la sensibilità, l’esperienza dello chef du cave che sceglie, assaggia e assembla.. non è un gioco di parole. Il prestigio di una azienda, il lavoro di molti uomini, l’economia di un territorio dipendono anche e molto da lui.

DOSAGGIO ZERO 2009
Chardonnay 50%- Pinot Nero 50% ( 1,50 g/l di residuo zuccherino) affinamento sui lieviti oltre 30 mesi prima della sboccatura e poi altri 12 mesi in bottiglia
Colore giallo paglierino brillante. Fermentazione in barrique sia per lo Chardonnay che per il Pinot Nero- spiega Luigi Bersini. La barrique in tutta la Franciacorta è considerato uno strumento della vinificazione, una sorta di contenitore più che elemento di scambio tra sostanze, come nei vini fermi.
 Al naso: grande freschezza, acidità e sapidità eloquente con una leggera nota di dolcezza. Tostatura, nocciola, frutta matura, leggera balsamicità. Alla bocca tutto corrisponde con una decisa nota di setosità e giovinezza. Questo dosaggio zero elegante di notevole struttura si presenta con una lunga longevità
Osserva Bersini ”La nostra partita si gioca, oggi, anche attraverso gli ZERO che sono una lettura del territorio.  Mettiamo  i vitigni nelle zone che reputiamo più adatte a  produrre un certo tipo di vino e questo non riguarda solo gli Zero ovviamente. La seconda carta  è la capacità di prevedere con almeno tre anni di anticipo se quello che abbiamo in vigna corrisponde al prodotto in bottiglia, salvo verificarlo nel tempo.
Ma- sostiene l’enologo- la prima carta è la naturalità Per noi lavora la natura, senza interventi, forzature e stress. Se la qualità dell’uva è perfetta, come la maturazione tecnologica e aromatica  al momento della vendemmia, sarà il tempo , a lavorare per noi. Noi aspettiamo.“

FRANCIACORTA -  Riserva “ Lucrezia  2006”.
100% Pinot Nero vinificato in bianco.  Affinamento oltre 70 mesi sui lieviti prima della sboccatura e poi un altro lungo periodo in bottiglia.
Un Blanc de noir, perfetto. Una scommessa vinta sul Pinot Nero. .. con una storia quasi romantica” Il vigneto perso”. Dice Bersini- Un vigneto  scoperto nel 1986 e portato a nuovo con diversi tipi di uve: Chardonnay, Pinot bianco e Pinot nero: quest’ultimo di altissima qualità. Non a caso il Pinot nero considerato” l’enfant terrible”  della viticoltura perché difficile da esprimersi al meglio, da noi sul Monte Orfano, in questa particella, è stato domato, diventando a buon diritto un vitigno di eccellenza della denominazione Franciacorta”
Naso: Lucrezia espressione di una maturazione tecnologica e aromatica perfetta, sbaraglia i due precedenti Franciacorta, per la grande sapidità e mineralità tipiche del Pinot Nero. Partenza netta di macchia mediterranea, speziatura, confettura e pasticceria con una leggera nota tannica. Perfetta corrispondenza all’assaggio.  10 anni e non li sente, potrebbe tranquillamente arrivare ai 20. Onestamente un grande vino.

Ed è sul Pinot Nero che si gioca molto il futuro della Franciacorta. Molti produttori hanno capito le potenzialità di questo vitigno che è in grado di dare una marcia diversa e in più ai loro già conosciuti spumanti.

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Cultura: La parmigiana non è di Parma e l’abbinamento con il vino è un ring da pugilato



La parmigiana non è un piatto tipico di Parma o dintorni. L’origine è meridionale perché le melanzane furono portate nel Sud Italia dagli Arabi. Il termine “parmigiano” indica che tra gli ingredienti è presente un formaggio. Il più noto dei quali è il parmigiano, ampiamente sostituito nel Sud da altri ottimi formaggi.
Ma  il termine parmigiana indica altre cose: ad esempio un tipo di imposta esterna per le finestre (simile alle veneziane) in grado di proteggere  gli occhi dal sole. Questo perché nel meridione, per riparare la vista, si usa la palma della mano e le “ parmigiane”, con i listelli di legno posti in scala, sono diventate “parmigiane”. In sostituzione delle melanzane, in molte famiglie si utilizzano le zucchine, i cardi, cucinate in teglie quadrate che vengono appunto chiamate parmigiane.
 E ora un cenno sulla melanzana: sicuramente pochi sanno che il suo nome deriva da “mela non sana”, in un certo senso pericolosa perché si riteneva che fosse velenosa. Si diceva che provocava turbe psichiche, la peste, il cancro. Questo ortaggio ingiustamente bistrattato proveniva dalla Cina e dall’India, ma fu introdotta dagli Arabi intorno al 1400 con il nome di “bandigian”. Nel medioevo il prefisso “melo” era aggiunto per indicare verdure che provenivano da lontano ( melograno, melacotogna..). Qundi bandigian diventò “ melo-bandigian” da cui l’attuale melanzana. Il tempo si sa riabilita molte cose e la melanzana, poco calorica e ricca di fibra, è diventata un riconoscimento gastronomico del Sud tanti sono i modi di preparazione: caponata, caponatina, alla Norma, fritte, sott’olio, con carne, senza carne…
Ma con quale vino l’abbiniamo? La prova del cuoco è una passeggiata di fronte alla complessità del piatto: pomodoro acidulo, melanzana  dal gusto amarognolo, mozzarella succulenta. Il gambero rosso ha decretato  i favoriti in una prova non priva di contestazioni: Pinot Nero Trattmann Riserva 2010 Girlan , il Rosso dl Soprano 2011 Palari per il Sud e il Nord con il Sylvaner Valle di Isarco, Praepositus 2012 Abazia di Novacella e il Valle Isarco Riesling Kation 2012 Kuenhof.

Sicilia e Alto Adige, la parmigiana è riuscita a unire capo e piedi del Belpaese!

I vini di ghiaccio: passiti dagli aromi superbi



Hanno un sapore dolce che ricorda i migliori passiti, ma sono dotati di una piacevole acidità che ricorda la frutta, con sensazioni definite” paradisiache”. Sono i vini del ghiaccio ottenuti con particolari procedimenti che nulla hanno da invidiare in dolcezza e morbidezza, ai più conosciuti Sciacchetrà delle Cinque terre, il Vin Santo della Toscana, il Moscato Passito di Pantelleria, il Recioto della Valpolicella, il Passito di Caluso da uve Erbaluce e molti altri ancora. Oggi in ogni regione troviamo vini dolci straordinari. Ma gli ”Ice wines”   hanno un qualcosa di particolare: ottenuti in precise aree d’Europa caratterizzate da clima freddo e continentale, sono prodotti da uve che rimangono in vigneto sino a bassissime temperature (meno 4-10 gradi) al fin di ottenere un parziale congelamento della parte acquosa e un alto grado zuccherino.
Gli esperti dicono ”se l’uva è come una pallina di vetro quando cade nel secchiello, la qualità sarà buona.  Se sembra una pallina di neve, si teme per la qualità” La vendemmia effettuata rigorosamente di notte consente un finale ricco di aromi di frutta tropicale: litchi, papaia, mango, ma anche pesca, albicocca, miele. In queste uve dobbiamo ricordare l’azione esercitata da un parassita, la “botrytis cinerea”, chiamata anche “muffa grigia” o ”muffa nobile“ che sottraendo umidità all’uva permette una maggiore concentrazione di aromi in particolare quella di tabacco. Vini di ghiaccio italiani vengono prodotti in Val d’Aosta a Morgeux, in Val d’Arda, nel piacentino, a Teniglie in provincia di Cuneo, nel Trentino Alto Adige e soprattutto a Chiomonte in Val di Susa dove si trovano i vigneti più alti d’Europa.
La storia dice che il primo vino del ghiaccio, è nato in Germania nel 1792 nella Franconia, in particolare nella città di Wurzburg,. I contadini disperati nel vedere distrutto il raccolto per il freddo, decisero di pigiare lo stesso le uve, ottenendo un mosto concentrato e inebriante. Ancora oggi le maggiori aree di produzione si trovano in Mosella.


“La storia di ciò che mangiamo” di Renzo Pellati. Daniela Piazza Editore  

News:





Arriva dalla Sardegna , quella che probabilmente, passerà alla storia come una delle riconversioni a bio più grandi del Belpaese: dal 2018 tutti i 541 ettari di vigneto della storica Sella&Mosca a corpo unico( oggi del  Gruppo Terra Moretti), saranno a biologico Fondata  nel 1899 da Erminio Sella, nipote dello statista Quintino, e dall’avvocato Edgardo Mosca, uno dei più grandi appezzamenti d’Europa aveva già iniziato questo percorso sotto la proprietà del Gruppo Campari. Gruppo che aveva ricevuto in dote, nell’ottocento, un’opera pioneristica per quell’epoca, una sorta di bonifica nel cuore dell’azienda. Furono rimossi migliaia di massi e uno strato massiccio di arenarie che impedivano il normale sviluppo delle viti. Nacque così allora un vero e proprio vivaio ampelografico con 1671 esemplari di vite diversi. Una biodiversità straordinaria che ancora vive tra i filari dell’azienda, dove vengono allevate e vinificate oltre 20 varietà di uve, tra vitigni autoctoni di antica coltivazione e internazionali. Un tesoro per Terra Moretti all’insegna del biologico e della sostenibilità.
(Fonte: WineNews)



Primavera anche per EATALY  che ha a cuore il suo vivaio formato da piccoli e giovani vigneto. Dall’11 al 13 Maggio a Eataly Roma Ostiense si potranno assaggiare circa 100 etichette di 50 cantine, prodotte dal vivaio e anche acquistare le  loro bottiglie. Al festival si potranno assaggiare specialità food del ristorante Orlando e della pasticceria La Portineria. Come il prezzemolo, la rassegna ospiterà seminari e la presentazione di un libro a fumetti dal titolo ”Gli ignoranti-vino e libri: diario di una reciproca educazione” di Etienne Davodeau con degustazione di vini naturali, bio e biodinamici. Insomma ce n’è per tutti!
(Fonte: WineNews)



E ora rilassiamoci a Lana e dintorni(BZ) per immergerci in una natura fiorente e piena di vita. Fino al 25 Maggio 2017, con Alto Adige Balance, possiamo ritrovare e sviluppare quell’equilibrio mente corpo, messo a dura prova dal quotidiano fin troppo assillante. Tutte le attività sono incentrate sul tema delle erbe e delle loro proprietà energizzanti. Punti di forza la Meditazione camminata nei labirinti dei 7 giardini della tenuts Kranzelhof di Cremes, Escursione sul colle Klosterbuhel a Foiana per scoprire i segreti delle erbe selvatiche: come riconoscerle al momento della raccolta e come utilizzarle in cucina per catturarne gli aromi con un’attenzione alla salute e tutti i venerdì di maggio degustazione di Succhi e cocktail verdi ottenuti dalle erbe selvatiche. E il vino? Ci sarà: andate e scoprirete.

Informazioni: https://www.merano-suedtirol.it/it/lana-e-dintorni/