lunedì 21 dicembre 2015

Dalla redazione...



Emanuela e Ramona.

Cultura: Cicci Bacco e la “ rivoluzione religiosa” del presepe napoletano




Il sughero, la grotta, i pastori, il Bambinello  se c’è un soggetto immutato nei tempi dove nulla è casuale e tutto ha un suo posto e un suo ruolo, questo è il presepe napoletano. La nascita di Gesù con il suo messaggio di salvezza e di amore è così rivoluzionaria e semplice da essere stata rappresentato infinite volte , in mille modi, in ogni angolo della terra e lo è tutt’'ora nelle Chiese, nella case di gran parte del mondo Cristiano .Un messaggio e una simbologia che ebbe inizio a Napoli nel 1025 nella Chiesa di S Maria dove, in un documento, viene citato il presepe .Nel 1340 la regina Sancia d’Aragona ( moglie di Roberto d’Angiò) regalò alle Clarisse un presepe per la loro nuova Chiesa ma bisogna arrivare al 1532 quando Domenico Impicciati realizzò le prime statuine in terracotta ad uso privato. Si deve ai sacerdoti scolopi, nel primo ventennio del Seicento, il presepio barocco. Le statuine furono sostituite da manichini snodabili di legno, rivestite di stoffe o di abiti. Grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno, ma furono realizzati con un’anima di filo di ferro rivestito di stoppa che consentì alle statuine di avere diverse pose. Fu alla fine del Seicento che il presepe napoletano acquisì quella teatralità che è giunta fini a noi  con la rappresentazione di personaggi del popolo come i nani, i tavernai, gli osti, i ciabattini, le donne con il gozzo ovvero la rappresentazione degli umili tra i quali nasce Gesù. Non solo nel presepe viene rappresentata la quotidianità con le piazze, i vicoli  cui  furono aggiunti resti di templi greci e romani a sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo.
Fu nel Seicento che il presepe napoletano visse la sua stagione d’oro uscendo dalle Chiese dove era oggetto di una profonda devozione religiosa per entrare nelle case dell’aristocrazia e della ricca borghesia le quali gareggiavano per allestire impianti scenografici sempre più ricercati. Ricordiamo allora il valore simbolico di alcuni dei personaggi più noti :il macellaio, incarna il diavolo perché associato al sangue e alla morte. La zingara che legge il futuro simboleggia la predizione della morte di Cristo. Benito è colui che nella tradizione napoletana, sogna il presepe: guai a svegliarlo il presepe sparirebbe. I mendicanti: richiamano i defunti per implorare la preghiera dei vivi. Il pescatore : simbolicamente pescatore di anime in quanto il pesce fu il primo simbolo dei cristiani perseguitati .Il vinaio :  il simbolo di quella” rivoluzione religiosa” che avverrà con la morte del Cristo. Difatti il vino e il  pane saranno i doni con il quale Gesù istituirà l’Eucarestia diffondendo il messaggio della resurrezione. Di contrapposto c’è la figura di Cicci Bacco che si presenta con un fiasco in mano, retaggio della divinità pagana Dioniso, dio del vino.






Curiosità: Il cappello dei cuochi, la “ Toque Blanche”



Non è vero che il cappello bianco a cilindro dei cuochi sia una caratteristica dei giorni nostri, è vero invece che sin dall’epoca dei Greci e Romani veniva dato un copricapo arricchito di rami d’alloro a chi sapeva preparare cibi e bevande. Sembra che un cappello bianco leggermente più piatto di quello indossato oggi, sia stato usato per la prima volta nel XVIII secolo dal cuoco Charles Maurice principe di Talleyrand. L’aspetto attuale è dovuto al famoso chef Antonin Careme, il quale inserì un cartoncino per renderlo più alto e rigido. Il caratteristico cappello da cuoco ha in realtà ha forma cilindrica per motivi igienici. Infatti il maggiore spazio sopra i capelli consente una maggiore circolazione di aria dato che la cucina è densa di vapori che possono provocare prurito. Il colore bianco è invece dovuto alla pulizia: un diverso colore potrebbe nascondere sporcizie di vario genere. I pasticcieri in genere hanno un cappello più basso, schiacciato come un berretto in quanto il laboratorio di pasticceria ha meno vapori di quello normale.
Renzo Pellati “ la storia di ciò che mangiamo” edz Daniela Piazza Editore

Cultura: Il Prosecco. Un prodotto di eccellenza esportato più della pasta e del parmigiano‏




Di colore giallo paglierino con “ perlage” fine e persistente, dall'aroma fruttato e moderatamente alcolico, è ottenuto dal vitigno ”glera” cui concorrono per un massimo del 15% varietà di uve quali lo Chardonnay e diversi Pinot. E’ il prosecco l’eccellenza italiana più esportata nel mondo più  della pasta e del parmigiano. Dal 2013 ha superato per numero di bottiglie il mitico Chapmpagne. La storia dice che il Prosecco abbia origini antiche, addirittura riconducibili al vino” Pucinum” decantato da Plinio il Vecchio( 27-79 d.C.) nella “Naturalis Historia” dove vengono esaltate le sue capacità mediche. Nel Cinquecento iniziò la fortuna del Pprosecco grazie al vescovo Pietro Bonomo che associò il “ Castellum Nobile Vino Pucinum” al castello di  Prosecco, vicino Trieste. Bisogna però risalire ai giorni nostri quando il Ministro dell’agricoltura Luca Zaia, per distinguerlo dal “ Prosek” dalmata e “ Tokai” ungherese e quello dei Colli Euganei, nel 2009 favorì la costituzione del Consorzio di Tutela per identificare la produzione essenzialmente in provincia di Treviso( Conegliano, Valdobbiadene, che hanno la DOCG, cioè Prosecco Superiore) e altre località venete che hanno la DOC. Inizialmente era un vino ”fermo”. Il merito di averlo dotato di “ bollicine “ lo si deve a Antonio Carpenè ( progenitore dell’attuale azienda Carpenè  Malvolti)  che nel 1868 introdusse in Italia il metodo della spumantizzazione. Non dimentichiamo anche Giuseppe Cipriani che nel 1948 ha inventato all’Harry’s Bar di Venezia il “ Bellini cocktail”( in onore del famoso pittore) a base di prosecco e polpa di pesca.

Curiosità:

Vino, se ne beve sempre meno 




E’ vero esiste uno zoccolo duro di enoappassionati che beve vino tutti i giorni (20%), ma se lo sommiamo a chi lo fa due tre volte la settimana(22%), il valore è pari a un 42%, in sostanza 1,3 milioni di consumatori regolari nel 2014 decisamente molto meno dei 4 milioni di dieci anni prima. Calamo i consumi di vino nel nostro paese che oggi si attesta a 33,4 litri pro capite Aumenta il popolo di chi non beve vino pari al 20% degli intervistati e di chi lo beve raramente 38%. La fotografia impietosa è stata scattata dall’Osservatorio del Vino Italiano in collaborazione con Ismea e Sda Bocconi-Wine Management Lab con la partecipazione tecnica di Wine Monitor-Nomisma. Si beve soprattutto a casa durante i pasti, ma si beve sempre meno circa una bottiglia la settimana. La crisi ha ridotto il consumo al ristorante e il vino ne ha fatto le spese e solo 25 imprese registrano un fatturato ( 2013) superiore ai 50 milioni di euro. Soffrono i piccoli produttori che difficilmente accedono alla grande distribuzione e ai negozi specializzati, il grande canale della distribuzione. Vita dura per tutti coloro che hanno quantitativi minimi di fornitura e che devono reinventarsi con il trovare sbocchi di mercato esteri o soluzioni alternative come la vendita diretta. Certo il turismo enogastronomico (il 9% degli stranieri), potrebbe essere una occasione d’oro. Quale paese al mondo ha paesaggi, terre, città d’arte, cultura, gastronomia così diversificate e concentrare in poco spazio, tanto da essere inserite addirittura nelle liste di tutela dell’Unesco? Francamente siamo un unicum. Un tesoro molto poco apprezzato e valorizzato. Eppure gli esempi non mancano: oltre oceano Napa Valley è meta di turismo con tre milioni di persone che vi si recano ogni anno con un valore per la vendita diretta dei vini pari a 745 milioni di dollari e un giro di affari legato agli alberghi, ristoranti, trasporto locale di 1 miliardo di dollari. Eppure questa area ha una superficie pari a 2/3 della provincia di Verona!

sabato 12 dicembre 2015

Cultura: Museo del Sughero di Calangianus





Il Museo del Sughero di Calangianus si trova nel centro del paese, all'intero del bellissimo complesso Settecentesco che comprende l’ex Convento dei Frati francescani e la Chiesa di Santa Maria degli Angeli. L'antica struttura interamente costruita in granito, era stata edificata intorno al XVIII secolo proprio per merito dei frati cappuccini. Nel 1866, periodo in cui i rapporti Stato-Chiesa erano tesi a causa del potere temporale del Papa, ci fu la soppressione e l’espulsione dei religiosi dal Convento.
In seguito a ciò, una parte venne ceduta alla Provincia di Sassari perché se ne servisse come caserma dei Reali Carabinieri, un’altra al Comune per destinarla a scuola, carcere e ufficio pretoriale.
Al centro chiostro si può ancor ammirare il pozzo che in passato veniva usato anche dalla popolazione.
Durate la prima e la seconda guerra mondiale, la Chiesa fu occupata dai soldati di stanza nel nostro centro che la ridussero in condizioni deplorevoli.
Nel 1946 grazie alla disponibilità di un comitato, vennero raccolti tra la popolazione dei fondi per abbellire l’interno con affreschi del pittore milanese Carlo Armanni (soldato in Gallura) rappresentanti scene della vita di San Francesco (1948).




Il Museo è stato inaugurato nel Luglio del 2011, ma aperto e reso fruibile a Maggio 2012 gestito dall'Associazione Turistico - Culturale “Contiamoci”.
La struttura è articolato su due piani: all'interno delle caratteristiche celle del piano terra sono esposti gli antichi macchinari e gli utensili per la lavorazione del sughero.
Il grande salone al piano superiore ospita, invece, una sezione multimediale con una serie di video che ripercorrono tutte le intere fasi della lavorazione dall'estrazione del sughero dalla pianta, alla trasformazione in turaccioli finiti e una sala predisposta per convegni e laboratori didattici.
Una guida accompagnerà i visitatori.
Il Museo è dotato di un punto shop dove è possibile acquistare souvenir di artigianato locale.

Ricerche:Sa di tappo!





C’è il vino ,la bottiglia e il tappo: una trinità (senza mancare di rispetto) inscindibile a complemento l’una dell’altra. Certo c’è l’etichetta, il nome dell’azienda, le uve, le date ecc, ma senza questi tre protagonisti a noi verrebbe a mancare.. appunto la” bottiglia di vino”. 
Tappi da sughero, parliamone: recenti studi indicano che i tappi fossero conosciuti già all'epoca romana, ma fu solo alla fine del 500 che il loro utilizzo fu riservato alla tappatura dei cocci che si usavano per contenere il vino. Alla Francia il merito di aver loro dato la destinazione finale: alla fine del 600 i tappi da sughero furono utilizzati per tappare le bottiglie di vino destinate allo Champagne.
I tappi da sughero  hanno una maternità indiscutibile: la corteccia della Quercus Suber L., che si trova nel bacino del Mediterraneo, in particolare in Sardegna, nel sud della Spagna e della Francia, in Tunisia, a nord dell’Algeria e del Marocco e nell'area centrale del Portogallo. La quercia è lentissima nel fornire sughero: 30 anni il sughero “maschio” non adatto a produrre tappi intorno ai 40 la “ femmina” da cui si forma il vero sughero, che una volta staccato dalla pianta si riproduce a intervalli di 8-10 anni. Le procedure per la produzione dei tappi da sughero segue un Codice Internazionale elaborato dalla Confederation, Européenne du Liege. Nonostante l’avanzare di tappi alternativi, i grandi vini preferiscono essere tappati dal caro vecchio sughero i cui tappi  soddisfano una produzione mondiale di 20 miliardi di bottiglie. In realtà soddisfavano perché le nuove realtà emergenti quali Sud Africa, Sud America, Australia, Stati Uniti, Nuova Zelanda impongono un mercato molto più vasto.

Sapore di tappo, ma andiamo per ordine:  a grandi linee dal 5 al 8%  i tappi purtroppo sono difettosi, problema che colpisce indifferentemente vini giovani e quelli invecchiati, i vini bianchi e i vini rossi. Certo prima di aprire la bottiglia è impossibile sapere se il vino sa di tappo ma onestamente, non c’è bisogno di un naso sopraffino per sentire l’odore amarognolo dei tannini, il sentore di muffa o accorgersi che il tappo è ammuffito o troppo bagnato. Il vino che sa di tappo è quasi sempre imbevibile, meglio cambiare! E c’è poco da storcere il naso se la bottiglia è cara.. pena la cancellazione di un ristorante anche se da Guida Michelin. 
La principale causa dell’alterazione del vino è da attribuirsi al tricloranisolo (TCA) che si forma quando il fenolo, contenuto naturalmente nel sughero, reagisce con il cloro e il prodotto di questa reazione viene attaccato da funghi che crescono sul sughero .In realtà sono le malattie o muffe del sughero ,quali la Armillaria mellea, Tricloranisole, che si sviluppano alla base delle piante durante la crescita, a imprimere al sughero il particolare odore pungente .Questo processo  si verifica nella parte centrale del tappo in particolare nelle lenticelle in cui si insediano i funghi, funghi e cloro penetrano nel sughero  dopo la raccolta della corteccia, attraverso i pori, porte di accesso alle lenticelle . Un sughero molto poroso è ad alto rischio di infezione che può avvenire anche durante la fase di conservazione del vino. Tant'è che i locali caldo-umidi non sono raccomandabili perché favoriscono la riproduzione di microorganismi. E’ ovvio che il processo di disinfestazione del sughero acquista primaria importanza in quanto un sughero non ben perfettamente sterilizzato può infettarsi ovunque, nei magazzini degli spedizionieri, nelle enoteche, in casa. Il cloro utilizzato in passato per sbiancare il sughero è stato sostituito dal perossido di idrogeno, procedimento che non ha del tutto eliminato il pericolo del sapore di tappo e del cloro, sostanza chimica che si trova ovunque. Tra i nuovi metodi di disinfezione ricordiamo l’impiego del Bestalon, speciale soluzione che contiene etanolo, una piccola quantità di fenolo-ossidasi e suberase preparato enzimatico prodotto in Danimarca. Questa preparazione rende i tannini e i fenoli insapori , contemporaneamente vengono estratti i  funghi maleodoranti che sono all'interno del sughero rendendo impermeabile la superficie del sughero stesso in modo che il vino non si infiltri nel tappo.

Ricerche: LA QUALITà DEI TAPPI DA SUGHERO



















Curiosità: COME TOGLIERE UN TAPPO ROTTO


Quando si stappa una bottiglia può succedere che il tappo si rompa, in genere accade perché la punta del cavatappi non è stata inserita correttamente oppure perché non è arrivata fino al fondo del turacciolo. Talvolta è invece colpa di un tappo troppo vecchio e asciutto: per i professionisti muniti di attrezzi speciali non è un problema ma per un “semplice” amante del vino può essere un disastro in special modo se desiderava assaporare un vino pregiato.
Per chi ama il vino rompere un tappo è una mezza tragedia: nel tentativo di estrarlo dal collo del contenitore si ricorre generalmente a un ferro da calza o alle forbici ottenendo, nella maggior parte dei casi, di sbriciolare il sughero facendolo cadere nel vino che diventa il più delle volte imbevibile. Ma non è detto che l'incidente debba sempre finire in disastro: esistono diverse tecniche per estrarre un tappo rotto dalla bottiglia.
La prima cosa da fare è cercare di togliere la parte rimasta nella bottiglia avendo cura di non romperla ulteriormente meglio evitando di utilizzare cavatappi con il succhiello.
Si può invece usare il cavatappi a lame, soprattutto nel caso di turaccioli molto bagnati di vino oppure vecchi e fragili. Se non lo si ha a portata di mano si può sempre ricorrere a metodi che generalmente richiedono una certa abilità e una discreta dose di pazienza. Chi non riesce nell'impresa e si trova con un tappo sbriciolato nel vino deve almeno sapere come eliminare i pezzetti di sughero dalla bottiglia: è sufficiente versarne una piccola quantità nel lavello o in un bicchiere. Di solito le impurità che galleggiano in superficie vengono via con le prime gocce e il vino che rimane in bottiglia è perfettamente pulito.
Secondo tentativo: se il tappo si è spezzato nella parte superiore ed è bloccato nel collo della bottiglia si può riprovare con il cavatappi ma delicatamente
Rischioso: se il tappo è bloccato nella parte bassa del collo della bottiglia,utilizzando il cavatappi con il succhiello si rischia di farlo cadere nel vino.
Sicuro: il cavatappi a lame è lo strumento più sicuro per estrarre il tappo rotto. Si inseriscono le lame tra il tappo e il collo della bottiglia...
...quindi si tira l'impugnatura girando. Talvolta non funziona al primo colpo ma è sufficiente riprovare.
Emergenza: in casi estremi si spinge il turacciolo rotto con un cucchiaino, se la bottiglia è piena bisogna fare attenzione a non schizzare fuori il vino.
Mescere: se nel vino sono rimasti pezzetti di sughero è meglio mescerlo in una brocca o in un decanter, il cucchiaino aiuta a bloccare il tappo così che non ostruisca il collo della bottiglia. Si può usare anche della garza fermata sulla brocca o il decanter nel caso si voglia essere certi che non entrino pezzi di tappo nel vino che si versa.
(Articolo tratto da VinoVini)

Cultura: Calici, anfore, reliquie: la sacralità del vino




Il carattere sacro  del vino,  si ritrova trasmesso anche nei tanti oggetti che in qualche modo sono venuti in contatto con esso e tra questi oggetti i calici, o, più in generale i paramenti sacri sono quelli che hanno avuto nel corso dei secoli, una benedizione speciale. Tra i calici più celebri ci sono quelli nei quali il vino, per dimostrare la  sua vera natura di sangue, ha incominciato a coagularsi o quelli che conservando le ostie, quasi a comprovare la presenza del sangue oltre che del corpo di Cristo, arrivano a sanguinare, come nei vari miracoli eucaristici, da quello di Lanciano avvenuto nell’anno 750, al celebre miracolo di Bolsena del 1263, in seguito al quale la festa del Corpus Domini fu estesa a tutta la Chiesa .E fu proprio per conservare quelle preziose reliquie di Bolsena che si costruì il celebre duomo di Orvieto dove ancora oggi si possono venerare.
Due, sono tuttavia, gli oggetti che sono stati a contatto con il vino sul quale cristo in persona ha operato trasformandone la natura, e sui quali il NUOVO TESTAMENTO ci  informa in modo preciso. Il calice dell’Ultima cena e le anfore delle Nozze di Cana. Il calice nel quale si compie quotidianamente questa trasformazione del vino nel sangue di Cristo, unico, originale calice che sarebbe stato usato da Cristo stesso del corso della sua ultima cena con gli apostoli, è il famoso Sacro Graal intorno al quale si è sviluppato un nucleo narrativo di straordinaria importanza. Il Graal è dunque quella coppa di metallo nella quale si è compiuta per la prima volta il miracolo della trasformazione, reliquia fondamentale per il mondo cristiano di cui si sono perdute le tracce. Un altro calice, passato presto alla leggenda è quello attribuito a San Giovanni Evangelista, un oggetto-reliquia, così come vuole la tradizione- conservato nella Basilica Lateranense a Roma. Secondo la tradizione che prenderebbe spunto dagli Atti di Giovanni( metà II secolo dopo Cristo), Giovanni sarebbe sfuggito miracolosamente al veleno in esso contenuto. Veleno che nell’iconografia classica viene rappresentato dal serpente.

Per quanto riguarda il celebre miracolo delle Nozze di Cana che, come è noto, è quello della trasformazione dell’acqua in vino: è stato il primo e l’unico miracolo che Cristo ha fatto , quasi di controvoglia, su mediazione della madre. Miracolo che esalta il valore sociale, conviviale del vino, ma soprattutto il valore delle nozze, quello che poi diventerà il sacramento del matrimonio. E’ evidente che la simbologia del matrimonio quale evento, si legò ben presto, alle anfore nelle quali avvenne la trasformazione. Molti sono i paesi che si vantano di possederle, tra i tanti ci piace ricordare un piccolo e sconosciuto borgo: Casaluce, il cui santuario conserva due di queste anfore che un’antica tradizione vuole siano quelle di Cana. Queste anfore furono donate da Ludovico, nipote di re Carlo d’Angiò, a Raimondo del Balzo, che viveva in quel Castrum  che poi sarebbe diventata Casaluce. Le anfore venivano direttamente dalla Terrasanta da dove, nel 1282, Ruggero di San Severino le aveva portate. Alla fine del XIII secolo vennero chiamati  a Casaluce i celestini, ai quali fu donato l’antico Castrum divenuto poi santuario. Proprio per questa leggenda re, regine, imperatori venerarono nei secoli questi mitici oggetti.

Ricerche: UN BICCHIERE DI MODERAZIONE

Un bicchiere di moderazione


E' questo il titolo di una ricerca dell'Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro (AIRC) che abbiamo scelto per spiegare come deve essere inteso il rapporto alcool-tumori.


Non servono sforzi sovrumani per ridurre il rischio di ammalarsi di cancro.
In alcuni casi basta un po’ di moderazione.
Per esempio con le bevande alcoliche che, se consumate in eccesso, sono delle vere e proprie sostanze cancerogene. È lungo l’elenco dei tumori il cui rischio può aumentare se si eccede con il consumo di alcolici:
Gli studi scientifici più rilevanti sulla relazione tra alcol e cancro sono stati passati in rassegna da un gruppo di ricercatori internazionali per conto dello IARC (International Agency for Research on Cancer), l’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità che si occupa della promozione e del coordinamento delle ricerche internazionali sulle cause dei tumori nell’uomo. Lo studio ha analizzato gli effetti dell’alcol su 27 parti del corpo e ha concluso che le bevande alcoliche possono essere considerate a tutti gli effetti cancerogene.
Secondo il gruppo bastano 50 grammi di alcol al giorno, equivalenti apoco più di tre bicchieri di una bevanda alcolica, per aumentare di due o tre volte il rischio di tumori della cavità orale, della faringe e dell’esofago rispetto ai non bevitori. Sempre 50 grammi al giorno è la quantità sufficiente a far aumentare del 50 per cento il rischio di cancro al seno nelle donne, anche se ne bastano appena 18 per registrare un primo aumento del rischio rispetto alle astemie. Con la stessa quantità aumentano del 40 per cento le probabilità di sviluppare il cancro al colon retto rispetto a quelle di chi non beve mai.
L’alcol è però soprattutto causa di cancro al fegato e potrebbe aumentare il rischio di tumore dello stomaco e dei polmoni.
L’alcol svolge la sua azione cancerogena in diversi modi: può danneggiare alcuni tessuti o organi (come quelli della bocca o il fegato) e se, durante il tentativo di riparazione, si verificano “errori”, alcune cellule possono diventare cancerose. L’alcol, inoltre, nel processo di smaltimento, può essere trasformato in sostanze dimostratesi responsabili di causare tumori.
Ancora, può interagire con altri composti dannosi come il fumo, potenziandone i loro effetti nocivi o ridurre la capacità protettiva di alcuni nutrienti.
Infine l’alcol può indurre un aumento nella produzione di ormoni come gli estrogeni, anch’essi responsabili di un aumento delle probabilità di ammalarsi di alcune forme di cancro.
Anche se i potenziali danni dell’alcol sono molti, la buona notizia è che basta ridurre al minimo il consumo di bevande alcoliche per ridurre le probabilità di sviluppare questi tumori.
Tenendo conto che nessuna bevanda alcolica è sicura: anche il vino, che potrebbe svolgere una qualche funzione protettiva per il sistema cardiovascolare, quando si superano le dosi consigliate aumenta le probabilità di ammalarsi di tumori. Il fattore determinante, infatti, non è il tipo di bevanda, ma l’alcol in essa contenuta.
Per questa ragione è preferibile evitare i superalcolici che contengono un elevato tasso di etanolo.
Ridurre il consumo di alcol, inoltre, non abbassa soltanto il rischio di ammalarsi di cancro. L’alcol infatti può danneggiare le cellule di molti organi tra cui il fegato e il sistema nervoso centrale. Inoltre, è una sostanza in grado di indurre una dipendenza più forte di quella di molte droghe.


Segue l'intervista con Carlo La Vecchia

                                                                       Professore di Statistica medica ed Epidemiologia

Dip. di Scienze cliniche e Salute
Università degli Studi di Milano

D.: I dati sul rapporto tra il consumo moderato di alcol e rischio tumorale sono aperti a discussione. Nel Documento di Consenso del 2013 quali dati erano emersi?
R.: Si può affermare che il rischio di sviluppare un tumore, per chi ha un consumo moderato di alcol, sono modesti e limitati ad alcuni distretti specifici.
Infatti, se i principi del consumo moderato di alcol fossero seguiti da tutta la popolazione adulta, in assenza di altri fattori di rischio (il fumo di tabacco in particolare), si potrebbero evitare tra l’85 e il 90% dei tumori alcol-correlati.
I rischi residui (10-15%) sono relativi, come accennato, a distretti specifici a diretto contatto con l’alcol, ossia cavo orale, faringe ed esofago e mammella.

D.: La ricerca in questi anni è proseguita. Quali ulteriori evidenze hanno contribuito a completare il quadro in questo biennio?
R.: Si è confermata la tendenza, già emersa nei decenni precedenti, alla riduzione del consumo di alcol nei Paesi mediterranei e in Italia in particolare.
Un comportamento che va inquadrato nel ben noto stile di vita del bacino mediterraneo, in cui il consumo di alcol è prevalentemente associato al pasto e, sempre di più, limitato al solo pasto serale.
Ne deriva non soltanto il rispetto dei principi corretti di stile alimentare e di vita, ma anche un’ovvia diminuzione dei consumi, ridotti di oltre due terzi negli ultimi 30 anni.
Nelle nostre analisi più recenti (La Vecchia et al. - European Journal of Cancer Prevention 2014, 23:319–322), infatti, si mette in luce molto chiaramente, negli uomini, un parallelo dimezzamento della mortalità per tumore del cavo orale, faringe ed esofago in Italia, Francia e Portogallo.

D.: Quali messaggi è opportuno far giungere ai medici di famiglia e alla popolazione generale a questo proposito?
R.: Il medico conosce le abitudini dei suoi assistiti e conosce i loro profili di rischio: diffondere la cultura del moderato consumo di alcol (fatti salvi i gruppi di popolazione a maggior rischio a cui si accennava in apertura) fa parte dei suoi compiti. Anche perché, nei non fumatori (il fumo resta il principale fattore di rischio per tumori e potenzia l’effetto negativo dell’assunzione di alcol), il rischio relativo di tumori del primo tratto digerente è, come ho detto, limitato.
L’attenzione che va riservata alla donna e al rischio, comunque aumentato, di tumore mammario, è un tema da discutere con la donna stessa, lasciando a ciascuna la libertà di scelta, a fronte dei benefici accertati che il consumo moderato di alcol ha dimostrato su altre patologie in età anziana.




News: ETICHETTE E CALORIE

Etichette del vino: fa discutere l’indicazione delle calorie




Dopo gli alimenti ora anche le bevande alcoliche devono indicare le calorie sull’etichette. Dal 2016 questa informazione potrebbe diventare obbligatoria come raccomandato dalla Commissione UE su indicazione del Parlamento Europeo che invita a riportare sempre sulle etichette anche  i pericoli dell’alcol. Guerra fredda tra i produttori e i politici? Certamente i produttori italiani sono molto preoccupati in particolare chi produce vini ad alta gradazione alcolica: una bottiglia di Amarone della Valpolicella contiene 885 calorie, 134 calorie a bicchiere da 150ml, quasi un terzo del totale delle calorie che può ingerire una persona adulta dal peso di 70kg. Paghiamo lo scotto dei tanti paesi come l’America, il Regno Unito, Canada, Australia , la Francia dove le calorie sono un’ossessione? Certo  è giusto e doveroso informare il consumatore cosa c’è dentro un preparato industriale o un alimento  ma non tutti gli alimenti sono uguali.  Chi afferma questo dice che non si può paragonare una bottiglia di vino per il quale le correzioni di gusto non sono previste dai disciplinari a una fetta di torta e poi tante informazioni sono veramente utili? Infine etichette allarmistiche che riportano l’indicazione l’alcol fa male in gravidanza non spingono giù i consumi proprio in Europa, dove il numero di chi beve è sempre più esiguo? Su una cosa sembrano tutti d’accordo: l’educazione al consumo moderato e non è questione di etichetta ma di conoscenza di che cosa è il vino  soprattutto il vino di qualità.

sabato 5 dicembre 2015

Ricerche: ad ogni vino il suo calice



Diciamolo non è nuovissima, ma questa ricerca dell’Università di Siena si ripropone con tutta la sua vitalità e fascino in giorni dove i bicchieri- meglio le loro forme- sono i   grandi protagonisti. Lo studio finanziato in regime di conto terzi da Rocco Bormioli e figli, ha vinto numerosi premi tra cui il miglior poster tra quelli presentati al IV Convegno nazionale della Società italiana di Scienze Sensoriali.
Non c’è niente da fare la migliore via attraverso cui il vino comunica con il degustatore è.. il bicchiere ma quale bicchiere, quello dettato dalla consuetudine, dalla moda, dal marketing? Ancora una volta la scienza ha messo lo zampino e si è detta” il binomio bicchiere-vino degustato può essere uno dei fattori che influenzano il profilo organolettico del vino in questione. In altri termini: la forma, la geometria del bicchiere può condizionare la percezione sensoriale del vino? Ci voleva una ricerca!
Un panel di esperti ha effettuato delle sedute di degustazione in cui sono stati testati sei modelli di bicchiere impiegando due diverse tipologie di vino, un rosso strutturato e un rosato valutando l’evoluzione nel tempo del profili sensoriale dei vini mantenuti nei bicchieri.
Le valutazioni sensoriali( quadro visivo, olfattivo/aromatico e gustativo) sono state condotte sul singolo vino, proposto in contemporanea sulla intera serie di bicchieri, ad intervalli di 40 minuti, per un periodo di 120 minuti (arco di tempo di un intero pasto).

Al fine di rendere oggettive con l’analisi sensoriale tutte le valutazioni sono state effettuate delle determinazioni chimico-fisiche per la caratterizzazione del vino in funzione del tempo di permanenza nel singolo calice di cui sono stati misurati i principali parametri geometrici e anche morfologico/funzionale come il profilo di risalita della temperatura, il profilo di ossigenazione e il tasso di evaporazione del liquido mantenuto all’interno dei calici. L’insieme dei dati ha portato alla stesura di una classifica dei diversi bicchieri che si è rivelata molto utile in quanto, oltre a evidenziare il grado di preferenza da parte dei degustatori relativamente al calice in sé, consente di fornire un giudizio sulla adeguatezza del calice in relazione alle tipologie di vino in assaggio.