giovedì 13 aprile 2017

Vinitaly: il mio appuntamento con il vino!




Eccomi qui anche io a Vinitaly davanti al simbolo di questa 51ma edizione giunta con oggi al termine.
Scarpe raso terra, borsa in dotazione per la stampa, scorta di acqua, mappa pronta ( ero sempre dalla parte sbagliata! ) e tanta tanta voglia di degustare,, curiosare, conoscere nuove realtà e conferme delle già visitate. E’ impossibile andare ovunque , seguire le centinaia di eventi. Rimane impressa la vitalità di questo mondo che non finisce di stupire per professionalità, imprenditorialità, ricca, ricchissima di progetti e di giovani tanti che hanno scoperto il vino e l’agroalimentare dalle mille sfaccettature e dalle mille opportunità anche economiche. Sarà banale ma non possiamo non ricordare i numeri del vino ( Fonte Coldiretti )

FATTURATO             10,1 miliardi( +3%)
ESPORTAZIONI        5,6 miliardi( +4%)
PRODUZIONE     48  milioni di ettolitri
QUALITA’   1 bottiglia su 3 è DOC
L’edizione 50+1 si chiude con 128mila presenze da 142 nazioni


 Il fatturato del vino e degli spumanti nel nostro paese cresce del 3% e raggiunge nel 2016 il valore record di oltre 10,1 miliardi per effetto soprattutto delle esportazioni con il + 4%. In leggera crescita anche le vendite sul mercato nazionale pari a 4,5 miliardi per effetto, anche della grande distribuzione organizzata ( + 1% ) Primo cliente gli USA  la cui produzione è arrivata a 22,5 milioni di ettolitri, collocandosi al quarto posto dopo Italia, Francia e Spagna, e con l’Italia primo fornitore. Al secondo e terzo posto per paesi in cui l’esportazione è confermata la Germania, e Regno Unito. Anche se i valori sono ancora limitati i mercati cinesi sono una grande opportunità con un +13%  . Lo spumante è il prodotto con la migliore perfomance di crescita all’estero con un aumento di esportazione del 21% pari a 1,2 miliardi di euro. Le bollicine più consumate il Prosecco, l’Asti, il Trento DOC e il Franciacorta quasi alla pari con il prestigioso champagne francese. L’Italia con una produzione di vino di 48,7 milioni di ettolitri ha ormai il primato mondiale davanti ai francesi e se ancora non ha raggiunto lo stesso livello qualitativo, bisogna dire che 1 bottiglia su 3 è DOC, tanto che l’Italia ha guadagnato in Europa il primato per numero di bottiglie con indicazione geografica ( 73 DOCG, 332 DOC, 118IGT ). Il vino Italiano è cresciuto in quantità e qualità puntando sulla identità territoriale punta di forza con la valorizzazione e scoperta dei vitigni autoctoni. Ma di questo ne parleremo la prossima volta.

Vinitaly: I vitigni autoctoni della Puglia



Degustazione guidata da Rosa D'agostino, Master Sommelier Alma-Ais


Vini complessi, eleganti, dalle note balsamiche ricche di erbe aromatiche: salvia, rosmarino… i sentori del Salento.
Vini dal colore giallo paglierino brillante sia in versione Spumante Metodo Classico Brut ( JORCHE ) che in versione fermo ( CRE’ ). Vini che non possono che affascinare per la mineralità ( altro  elemento tipico del Salento ).  La crosta di pane e di burro fresco tipico del metodo classico dello JORCHE affascinano come i sentori di pesca, meglio pesca bianca.


In MINUTOLO, vitigno autoctono raro il cui DNA è assolutamente puro, che solo la tenacia di Francesca Bruni poteva rivalutare, si evidenzia nel suo CRE’ Salento Bianco IGP. Vino complesso, quasi un mazzo di fiori primaverili.
Vini banchi brillanti che nulla hanno da invidiare a quelli del Nord Italia.  Un vino che si sposa alla grande con i latticini, con le burrate accompagnate dal pomodoro.

Ma li vedete i colori dei rosati?
La natura e l’abilità del vignaiolo ha superato qualsiasi colore anche i più raffinati dei grandi artisti del colore. Parliamo di ESTROSA, IL MELOGRANO, ROSE’ e dei rispettivi vitigni PRIMITIVO; NERO DI TROIA; NEGROAMARO.

Il PRIMITO ( ESTROSA  ) è quasi di un colore cerasuolo ma dai riflessi rosati; ciliegia, marasca, melograno, fragolina di bosco: i frutti della Murgia in provincia di Bari, terra rossa  in grado di dare grande personalità al vino.

All’assaggio: ritorna tutto con grande coerenza al naso. E’ sensuale, elegante, sapido, equilibrato nell’acidità pronto all’attacco anche di un capocollo!

Altro vitigno autoctono ”NERO DI TROIA”, dal forte carattere, dal tannino ruvido tanto che molti  produttori lo ritenevano indomabile. E invece c’è stato chi  ne ha fatto un capolavoro.. in purezza. E’ IL MELOGRANO della cantina La Marchesa. Dal colore, appunto del  melograno. La tecnica usata per questo vino è la vendemmia particellare. Come i francesi, particelle vinificate, raccolte a  mano, con grandissima attenzione. C’è un accorgimento per rendere questo vino naturale al massimo: una sorta di laccetto messo a capo di ogni filare in grado di attrarre  tutti i batteri nocivi. Qui c’è il vino pugliese che non è solo sole..
All’assaggio: nota alcolica decisa con grande spalla acida; ha bisogno di essere trattenuto nel bicchiere, poi si concede. Questo vino si può sposare con una mozzarella e pomodoro, con un carpaccio di tonno o tartare di mare.

Azienda Mottura, una tenuta in stile Barocco.  Ancora Salento, ancora un colore seducente quasi rosa antico con riflessi luminosi ramati per questo ROSE’. E’ elegantissimo con sentori di narciso, fiordaliso, tiglio. Fruttato, erbe aromatiche, basilico, rosmarino. In bocca è coerente, non delude. Negroamaro nasce scuro, dalla forte personalità ma qui racconta di una azienda che sa lavorare.

Andiamo ai ROSSI!

MEDOS malvasia nera di Castello Monaci, azienda il cui nome deriva dalla presenza di un castello barocco molto interessante del XVI sec. Strato di argilla e calcarea friabile con forte irrigazione caratteristica ancora del Salento. Il vino ha materia, personalità; al naso sentiamo una confettura di amarena, cioccolato, liquerizia, tabacco, sentore che proviene da una terra in cui per generazioni ci sono state coltivazioni di tabacco. Avvolgente con precisa glicerina, morbido e equilibrato, in perfetta sintonia con il territorio. Poteva essere seduto, invece è molto fresco e sensuale. In abbinamento con i salumi, carni grigliate.

SALENTO ROSSO. Qui Negroamaro è primitivo tutto biologico al 100%, cantina e bottiglia. Bello, dalla forte personalità, impenetrabile, dai sentori che non esplodono subito ma che hanno bisogno - come tutti i vini biologici - di tempo per schiudersi. Bella nota mentolata di erbe di campo e poi amarena e frutti rossi croccanti. Vellutato in bocca, avvolge il cavo orale, dal tannino bello rugoso che non dispiace. Perfetto  con il polpo. Provatelo con la carne brasata, certo non rimpiangerete il migliore dei Baroli!


Impresa storica terreno calcareo argilloso, Susumaniello. L’ELFO è un vino complesso con archetti pronunciati, rosa rossa, ciliegia, nota balsamica ma leggerissima. In bocca si racconta con tannino scalpitante che ha bisogno di essere domato, meno frutti, tannino che diventa più elegante nella versione rosé.. Raccontatelo dopo averlo tenuto in cantina per qualche anno.

PRIMITIVO 17: dolce naturale, 17 gradi, da uve surmature. Azienza Soloperto. Siamo in Manduria un primitivo che sa di amarone tanto le uve sono un concentrato di zucchero. Vino da meditazione da gustare con il libro preferito. Non ha bisogno di barrique;  questo vino affinato in acciaio  si racconta da sé perché ha tutto già di suo: glicerina, presenza di ferro,  grande struttura con note di ciliegia, amarena sotto spirito, cacao, tabacco, liquerizia, il tannino è ruvido ma elegante…Questi produttori sono spregiudicati perché sanno di avere un vitigno unico, che si racconta nella sua autenticità. Perfetto con i dolci, sublime con il cioccolato!

Vinitaly: Le Donne del Vino

Certo non sono passate inosservate “ Le donne del vino” a Vinitaly: la grinta, la professionalità, la ricerca del nuovo, ma soprattutto la passione del territorio e di quello che esprime, hanno lasciato il segno. 
E come lo hanno lasciato! 
Il programma ricco e vario si è sviluppato ancora prima dell’apertura ufficiale di Vinitaly con una degustazione di 12-14 vini di vitigni autoctoni rari, per 60 grandi esperti internazionali. Quattro le delegazioni protagoniste: Campania, Liguria, Sardegna, Toscana; tanti gli appuntamenti e le degustazioni offerte da altre regioni. 
Un quadro lusinghiero che molto deve alla Presidente Donatella Cinelli Colombini, un vulcano di idee e di forza vitale.
Come ha detto in uno dei numerosi incontri ” le donne del vino stanno rivelando un profilo molto manageriale, visto che il 50% dei loro prodotti sono venduti all’estero, mentre il dato nazionale è del 24%. La media dei vini DOC e DOCG è del 69% segno di grande qualità, rispetto il 38% nazionale. Inoltre molte donne - osserva ancora la Presidente - hanno da tempo adottato i metodi del biologico e del biodinamico; segno questo di vedere il futuro della enologia del nostro paese  sempre più attento e rispettoso del  territorio.

Infine  anche nella diversificazione produttiva - come rilevato nell’ultimo sondaggio presentato a Roma - Le Donne del vino oltre le aziende agricole possiedono un agriturismo e molte di loro offrono anche la ristorazione. ”

Cultura: Calici, anfore, reliquie: la sacralità del vino


Il carattere sacro  del vino,  si ritrova trasmesso anche nei tanti oggetti che in qualche modo sono venuti in contatto con esso e tra questi oggetti i calici, o, più in generale i paramenti sacri sono quelli che hanno avuto nel corso dei secoli, una benedizione speciale. Tra i calici più celebri ci sono quelli nei quali il vino, per dimostrare la  sua vera natura di sangue, ha incominciato a coagularsi o quelli che conservando le ostie, quasi a comprovare la presenza del sangue oltre che del corpo di Cristo, arrivano a sanguinare, come nei vari miracoli eucaristici, da quello di Lanciano avvenuto nell’anno 750, al celebre miracolo di Bolsena del 1263, in seguito al quale la festa del Corpus Domini fu estesa a tutta la Chiesa .E fu proprio per conservare quelle preziose reliquie di Bolsena che si costruì il celebre duomo di Orvieto dove ancora oggi si possono venerare.
Due, sono tuttavia, gli oggetti che sono stati a contatto con il vino sul quale cristo in persona ha operato trasformandone la natura, e sui quali il NUOVO TESTAMENTO ci  informa in modo preciso. Il calice dell’Ultima cena e le anfore delle Nozze di Cana. Il calice nel quale si compie quotidianamente questa trasformazione del vino nel sangue di Cristo, unico, originale calice che sarebbe stato usato da Cristo stesso del corso della sua ultima cena con gli apostoli, è il famoso Sacro Graal intorno al quale si è sviluppato un nucleo narrativo di straordinaria importanza. Il Graal è dunque quella coppa di metallo nella quale si è compiuta per la prima volta il miracolo della trasformazione, reliquia fondamentale per il mondo cristiano di cui si sono perdute le tracce. Un altro calice, passato presto alla leggenda è quello attribuito a San Giovanni Evangelista, un oggetto-reliquia, così come vuole la tradizione- conservato nella Basilica Lateranense a Roma. Secondo la tradizione che prenderebbe spunto dagli Atti di Giovanni( metà II secolo dopo Cristo), Giovanni sarebbe sfuggito miracolosamente al veleno in esso contenuto. Veleno che nell’iconografia classica viene rappresentato dal serpente.

Per quanto riguarda il celebre miracolo delle Nozze di Cana che, come è noto, è quello della trasformazione dell’acqua in vino: è stato il primo e l’unico miracolo che Cristo ha fatto , quasi di controvoglia, su mediazione della madre. Miracolo che esalta il valore sociale, conviviale del vino, ma soprattutto il valore delle nozze, quello che poi diventerà il sacramento del matrimonio. E’ evidente che la simbologia del matrimonio quale evento, si legò ben presto, alle anfore nelle quali avvenne la trasformazione. Molti sono i paesi che si vantano di possederle, tra i tanti ci piace ricordare un piccolo e sconosciuto borgo: Casaluce, il cui santuario conserva due di queste anfore che un’antica tradizione vuole siano quelle di Cana. Queste anfore furono donate da Ludovico, nipote di re Carlo d’Angiò, a Raimondo del Balzo, che viveva in quel Castrum  che poi sarebbe diventata Casaluce. Le anfore venivano direttamente dalla Terrasanta da dove, nel 1282, Ruggero di San Severino le aveva portate. Alla fine del XIII secolo vennero chiamati  a Casaluce i celestini, ai quali fu donato l’antico Castrum divenuto poi santuario. Proprio per questa leggenda re, regine, imperatori venerarono nei secoli questi mitici oggetti.

Ricerca: Diabete di tipo2: Analoga la riduzione con consumo moderato, per vino, birra o super alcolici



Lo studio è stato pubblicato il 22 febbraio su European Journal of Clinical Nutrition


Ancora una conferma sul rapporto alcol e diabete2. Molti studi osservazionali prospettici hanno dimostrato che il consumo di alcol a dosi moderate si associa a una significativa riduzione di sviluppare il diabete di tipo 2.
Non è tuttavia chiaro se le singole bevande ( birra, vino, superalcolici ) posseggano, al  proposito, specifiche proprietà. Sembra comunque che le tre bevande esaminate abbiano una sostanziale equivalenza nel ridurre il diabete di tipo 2. Questo dato emerge con chiarezza da una metanalisi coordinata dal Consorzio CHANCES ( Consortium of health and Ageing Network of Cohorts in Europe and the United States ), che ha esaminato 10 studi condotti in Europa ( compresa l’Italia e Stati Uniti ) per un totale di 62.458 soggetti che hanno dichiarato un consumo regolare di una o più bevande alcoliche.
 In base ai dati delle 10 ricerche incluse nel CHANCES, è il vino ad aggiudicarsi la percentuale di preferenze, con il massimo rilevato nel gruppo di studio Moli-Sani.
Nell’Olandese Zutphen Elderly Study si è concentrata la quota maggiore di chi opta per i superalcolici.
Tra Svezia e Finlandia prevale la quota di persone che beve alcolici senza particolari predilezioni. In tutti i gruppi studiati, tra le persone che preferivano il vino era maggiore la quota dei non fumatori, di donne e persone con più alto grado di istruzione, mentre chi indicava la birra o i superalcolici era più spesso maschio e fumatore.
 Il risultato principale della metanalisi è che non esistono differenze tra soggetti con preferenza per una delle bevande considerate.

Si può quindi concludere che il consumo di alcol moderato delle tre bevande, nei limiti indicati dalle linee guida ( un drink al giorno per il sesso femminile e due drink al giorno per gli uomini ), possa svolgere lo stesso effetto protettivo sul diabete di tipo2, indipendentemente dalla loro composizione.   

Eventi: Gusto in scena e la cucina del Senza



Senza zuccheri, senza sale, senza grassi: che gusto c’è? C’è  e molto. Innanzitutto il nuovo stile di cucina.
LA CUCINA DEL SENZA
Nata nel 2011 dal critico enogastronomico Marcello Coronini  attento non solo al piacere delle pietanze ma anche alla salute. “ Sale, grassi e zuccheri - dice Coronini - sono di per se presenti naturalmente in tutti i prodotti della terra, siamo noi che li vogliamo aggiungere nelle preparazioni anche in dosi minime alterando  il loro sapore genuino. Molte malattie e lo sappiamo - osserva il critico gastronomico- dipendono dal troppo, in particolar molti tipi di tumore. Il senza  non è una nuova filosofia  è una tendenza sempre più attuale, in grado di sposare gusto e salute.”
Autore già di un best-seller ” La Cucina del Senza ” (Grabaudo/Feltrinelli) Coronini  alla presentazione a Vinitaly, da Moncaro, della nona edizione di GUSTO IN SCENA ha annunciato il titolo del prossimo congresso che si terrà il 23-24 Aprile a Venezia alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.”
La cucina del senza e le erbe aromatiche è il tema in cui si cimenteranno chef e pasticceri.
“Perché le erbe aromatiche?” chiedo a Coronini, mentre sorseggiamo il Madreperla, esclusivo vino Moncaro.
” Vogliamo riproporre e approfondire il forte legame tra territorio e erbe aromatiche, un patrimonio ricco di sfaccettature e sfumature  che variano da regione a regione e che in molte zone povere, soprattutto in tempo di guerra, erano l’unico modo per rendere gustoso quel poco.”

Erbe  al posto dello zucchero? La prova ai pasticceri! 

Curiosità: La musica fa bene alle viti




Dopo le mucche che producono più latte al suono della musica classica, ora è la volta delle viti. Rosso e bianco per vini più armonici? Ne è convinta Claudia Adami curatrice del progetto che è già praticato alla cantina Riva dei Frati. Arpe a vento e musicisti che suonano durante la vendemmia per poi effettuare la rifermentazione sempre a ritmo di musica alla frequenza di 432 hertz. Ovviamente non poteva mancare la Nona sinfonia di Beethoven !
Le curiosità non sono mancate a Vinitaly: dagli assaggi emotivo-sensoriali proposti dal Consorzio Soave.
Basta indossare cuffie e occhiali per un approccio al vino fatto di vista, gusto e olfatto. Ci si può immergere così in un grappolo che una volta raccolto, percorre le colline del territorio prima di diventare mosto e poi vino.

 Tra le novità più interessanti  una “ cantinetta smart ” che consente, tramite l’apposita app su smartphone, di portare alla giusta temperatura il vino da servire per cena. Non solo, la Cantinetta tiene monitorate le condizioni di conservazione delle bottiglie più preziose e di consigliare il proprietario sulla data di consumazione ottimale per ciascun vino.


martedì 4 aprile 2017

Cultura: La cantina


La cantina è la camera da letto giù da basso.
Silenziosa, profonda, oscura. Esposta a Nord. Né troppo bianca, né troppo umida. Senza odori di mela, di aceto o di legna verde. La cantina è un luogo di culto pieno di misteri. Il vino deve restare imperativamente  in contatto con il tappo, per evitare che questo si secchi, perda elasticità e si restringa. Se il tappo si restringe, l’aria vi passa e il vino si ossida. Le dilatazioni e le contrazioni affaticano irrimediabilmente il vino.  Le bottiglie giacciono distese come su un’ottomana, sistemate una di testa una di fondo.  Fanno pensare alle bellezze dormienti di Kawataba, la cui nuca sembra così facile da spezzare, o anche alla fanciulla sorpresa dormire con un seno all’aria.
Nell’antica Roma esistevano due cantine. La cella vinaria posta, al piano terra, dove si conservava il vino nuovo in grandi otri di terracotta o botti di legno fino a quando veniva venduto o chiuso in anfore millesimate... a quel punto venivano portare nell’apoteca, nella parte alta della casa, dove venivano lasciate invecchiare nel fumicarium, locale per affumicare, che serviva anche a togliere i residui di umidità del legno. In questo locale il vino acquistava un aroma molto particolare e apprezzato diventando denso come uno sciroppo” Una sorta di miele amaro” dice Plinio a proposito di un vino vecchio di 200 anni.
Madelaine Bonjour in ”L’imaginair du vin“ ha fatto l’inventario delle etichette di alcuni granai per tipo di vino. Dentro c’è tutta la storia di Roma. Marziale parla di un ”del’annata di Opimio”. Orazio in un’ode celebra un’anfora ”che si ricorda della guerra Marsica”. Un altro vino proviene da Setia (l’attuale Sezze nel Lazio).
La cantina è come un momento di pausa che la storia si prende, è come la somma di piccoli frammenti di tempo che si condensano e che si materializza in anfore contenenti anche vini dolci e zuccherati.
“Ma è certo che si scende sempre in cantina, dice il filosofi Gaston Bachelard (1884-1962), non si è mai sicuri di risalire dalla cantina. E’ li che il vino si concentra, matura, come se nascesse dal mondo di sotto. Lontano dai tumulti, dalle guerre, dalle passioni, dalle vicissitudini del tempo, - dice ancora Bachelard - il vino elabora il segreto di ogni bottiglia perché non si sa cosa è, come diventerà, se bisogna aspettare ancora o se è già pronto ad aprirsi”.
Si ha sempre paura di risvegliare la bella addormentata, con la testa un po’ abbandonata, all’indietro, come in un quadro di Giorgione.


 Da “ Eros e Vino” di Jean Luc Henning


Cultura: Il bacco di Caravaggio





Nella tradizione di autoritratti degli artisti del Cinquecento, non poteva mancare un piccolo dipinto in cui Caravaggio ritrasse se stesso nei panneggi di un Bacco giovane. Il dipinto del Caravaggio si rifaceva ad alcuni  elementi iconografici di artisti che vedevano in  Bacco il  nume tutelare della loro categoria. In particolare costoro erano convinti che con il vino potesse essere raggiunto un particolare stato di “furore creativo”. L’incarnato bluastro dell’autoritratto è stato associato dal Longhi ad un episodio di un soggiorno del Caravaggio nel’Ospedale della Consolazione per un calcio ricevuto da un cavallo, ma per alcuni autori il colorito era dovuto all’abitudine di molti pittori dell’epoca, di dipingere alla lice lunare perché maggiormente ispiratrice del “ furore lunatico”. Il quadro si ‘e sempre prestato a numerose interpretazioni per la sofferenza degli  occhi , e il suo provocante sorriso. Per molti critici l’opera rappresenta uno dei cinque sensi: il gusto o  il ”poeta elegiaco”.
Per altri, il Bacco di Caravaggio altro non è che la lussuria, o  il Bacchino malato, o lo stesso Cristo risorto che esce dalla tomba. Forse la più convincente delle interpretazioni è l’immagine dell’artista nello stato di melanconia.

 Il dipinto venne datato nel 1593. Giunse in possesso del cardinale Scipione Borghese nel 1607 tramite il sequestro della collezione del Cavalier d’Arpino da parte del giureconsulto e procuratore generale della Camera Apostolica, Prospero Farinacci. Attualmente fa parte della prestigiosa collezione del Museo di Villa Borghese.

Cultura: Non solo medicina


Henri de Mondeville

A partire dal Medioevo, il vino e con esso l’acquavite ha occupato un posto molto importante nella terapia sia medica che chirurgica. Nel XIII secolo il medico chirurgo Lanfranchi, milanese, fondatore della Scuola di Chirurgia di Parigi, assieme al suo discepolo Henri de Mondeville medico di Filippo IV. Il Bello, sostennero l’uso intensivo del vino nel trattamento esterno delle lesioni e delle ferite, specie di guerra. Questo metodo verrà adottato in modo ancora più intensivo nei secoli successivi con l’arrivo delle armi da fuoco. Il chirurgo francese Ambroise Parè autore del trattato ”Metodo di trattare le ferite da archibugio e da altri bastoni da fuoco” (1545) adottò vino cotto in luogo dell’olio bollente nel trattamento delle ferite da armi da guerra. Era convinzione che il vino oltre a preservare dalle infezioni, favorisse il processo di guarigione delle ferite e della loro cicatrizzazione. Il vino era anche considerato una sorta di “anestetico generale contro il dolore” non fosse altro che per  “ottundere”  la mente del paziente” durante le operazioni  chirurgiche.