venerdì 30 giugno 2017

Curiosità: Il cappello dei cuochi, la “ Toque Blanche”




Non è vero che il cappello bianco a cilindro dei cuochi sia una caratteristica dei giorni nostri, è vero invece che sin dall’epoca dei Greci e Romani veniva dato un copricapo arricchito di rami d’alloro a chi sapeva preparare cibi e bevande. Sembra che un cappello bianco leggermente più piatto di quello indossato oggi, sia stato usato per la prima volta nel XVIII secolo dal cuoco Charles Maurice principe di Talleyrand. L’aspetto attuale è dovuto al famoso chef Antonin Careme, il quale inserì un cartoncino per renderlo più alto e rigido. Il caratteristico cappello da cuoco ha in realtà ha forma cilindrica per motivi igienici. Infatti il maggiore spazio sopra i capelli consente una maggiore circolazione di aria dato che la cucina è densa di vapori che possono provocare prurito. Il colore bianco è invece dovuto alla pulizia: un diverso colore potrebbe nascondere sporcizie di vario genere. I pasticcieri in genere hanno un cappello più basso, schiacciato come un berretto in quanto il laboratorio di pasticceria ha meno vapori di quello normale.
Renzo Pellati “ la storia di ciò che mangiamo” edz Daniela Piazza Editore

sabato 24 giugno 2017

Una giornata particolare… con il Sassicaia


IV viaggio studio BEM – Territorio toscano e umbro.



“ Ho un ricordo incancellabile del bordò che arrivava in barriques dalla Francia in casa di mio nonno Chigi all’inizio della prima guerra mondiale; quello stesso boquet lo ritrovai una decina di anni dopo bevendo a  Migliarino in casa Salviati un Cabernet che proveniva da una vigna di loro proprietà. Quando poi riuscii ad assaggiare un Margaux  del 1924 e risentii lo stesso gusto, mi ripromisi di fare un vino che aveva quella particolarità”.

Da un documento scritto nell’estate del 1974 da Mario Incisa della Rocchetta, successivamete ritrovato dl figlio Nicolò.

Certo non poteva esserci un vino più blasonato del Sassicaia: Incisa della Rocchetta, Antinori, Della Gherardesca, Salviati, Chigi, il meglio della nobiltà  Toscana e Piemontese. Un incrocio di matrimoni, parentele , incontri , amicizie importanti  e non solo italiane hanno segnato pezzi di storia del nostro Paese. E non si tratta solo di appartenenza, ma di tradizioni, valori, cultura, stili di vita, innovazione e imprenditoria, quest’ultima nel mondo del vino, tramandate da padre in figlio. In un’Italia sciatta che non cerca un riscatto culturale  ma che si accontenta della litigiosità di politici più alla ricerca di alleanze che di soluzioni economiche  e sociali, leggere la storia di questo grande vino, da emozione perché in fondo Bolgheri si trova  in Italia e non altrove, perché Mario Incisa, questo Marchese malinconico ma testardo ha creato con il suo Sassicaia una immagine ”Italia” che anche i francesi, grandi esperti di marketing, ci invidiano.


Tenuta San Guido





La storia del Sassicaia ha un attore principale: Mario Incisa della Rocchetta.
Un luogo: la splendida tenuta di San Guido a Bolgheri, nella Maremma Livornese.
Una data: 1942.
Un vitigno: il cabernet e una passione: il vino.
Già un vino che fosse grande, ci prova il Marchese, con il Pinot ma si convince, forte della sua passione per i vini francesi,  che è il Cabernet il vitigno giusto. Se la ridono sotto i baffi gli amici blasonati toscani con il loro Sangiovese e Trebbiano vinificati con doppia fermentazione.
 Ma dove se lo va a cercare il terreno adatto?
A Castiglioncello nella tenuta di Bolgheri, un appezzamento a circa 350 metri di altezza, al riparo dal troppo salmastro, esposto a sud-est con un terreno simile alla zona di Graves nel Bordolese… Una ”minivigna” con mille viti meglio marze di cabernet, fortunosamente recuperate dalla vecchia vigna dei Salviati e innestate su legno bolgherese. L’attecchimento è perfetto. Era il 1942. Potatura bassissima ad alberello basso, produzione molto modesta, vinificazione  certo non da manuale, fermentazione in tini di legno aperti, invecchiato per 5-6 anni in barilotti di rovere, rifinito in bottiglie bordolesi. Insomma un “ vinaccio” dal gusto erbaceo e troppo tannico. “Una maccheronata” si diceva, ma Incisa aveva capito che il suo vino non poteva essere pronto nella primavera successiva al raccolto dell’uva, ma doveva aspettare. Dai primi anni iniziò a mettere da parte due alcuni ettolitri di vino l’anno. Il successo fu decretato una decina di anni dopo quando qualche bottiglia del 1949-50 fu bevuta d Gherardo Della Gherardesca, con la complicità del figlio Nicolò. Un vino con cinque-sei anni di barrique e altrettanti di bottiglia. Perfetto.

Da lì nasce tutta un’altra storia del Sassicaia, Incisa crea altri vigneti scendendo dall’Olimpo dei 350 metri ai 100 sul livello del mare. Innesta barbatelle con legno proveniente dalla prima vigna. Abbandona l’alberello per il cordone speronato e poi.. la commercializzazione nel 72 con gli Antinori.

Degustazione Sassicaia 2014


Un Cabernet con l’impronta di Bolgheri



Ha nell’anima e nel corpo Bolgheri, la sua macchia mediterranea, l’humus, la salsedine,la balsamicità le  erbe aromatiche, come solo Bolgheri sa dare. Questo Mario Incisa lo aveva capito perfettamente come aveva capito che il suo rosso da lungo invecchiamento sarebbe diventato un vino con una sua identità diversa da Bordeaux,  Napa Valley o la Nuova Zelanda. Un vino unico, in cui si coniugano piacevolezza, mediterraneità e gusto internazionale. Come dice Armando Castagno grande intenditore di vini “ Se cercate in un vino potenza e struttura non avete capito come funziona un vino. Il vino è sottigliezza, eleganza e territorialità, perché è proprio la territorialità l’unico elemento che può dare unicità”.
Sassicaia 2014, non ancora in commercio.
Cabernet Sauvignon (85%)- Cabernet Franc (15%)- 13,5% di volume
Al naso: colpisce  la nota fruttata, ma è netta la sensazione di salmastro che fa da spartiacque tra il taglio bordolese che svanisce molto presto e la nota dei profumi mediterranei di Bolgheri. Humus,erbe aromatiche, macchia mediterranea, nota agrumata. E’ un vino dai sentori balsamici, ancora non sviluppate le note speziate perché è un vino giovane che ha bisogno di allungarsi..dategli tempo dice Daniela .. e noi lo sentiremo tra qualche anno quando, dopo il lungo passaggio in barrique, rimarrà per anni a riposare..
Al gusto: Il fruttato svanisce per permettere all’acidità agrumata di allungarsi e per tornare al centro della lingua con un delicatissimo tannino. Vino di struttura, corpo ma non sfacciato. E’ sottile, raffinato, dove il cabernet è interrogato da chi l’assaggia per dire; sei bravo, diverso, perfetto nell’equilibrio di tutte le  componenti del vino. Difficile da capirsi, non da tutti amato, ma è meglio così: i vini difficili e costosi si fanno cercare e ricercare.


Cultura: La festa del pane, tradizione romana del più antico forno della capitale



Nel nome della Dea Cerere, al cui culto sono legati i riti agricoli nell’antica Roma, si rinnova ogni anno una festa particolarissima: la festa del pane ideata negli anni  80 da Maria Grazie Panella proprietaria della quasi centenaria azienda romana, collocata nella splendida cornice di Largo Leopardi in Via Merulana. Onestamente non sarebbe romano chi non conosce questo forno nato nel 1929 , Conosciuto in Italia e all’estero per la genuinità delle materie prime utilizzate e per la genialità artistica di maestri panificatori che hanno realizzato sculture di pane, esposte in vetrina, per far conoscere Roma al  resto del mondo. Maria Grazia Panella è fiera di questo appuntamento di fine Giugno dove accanto alla distribuzione gratuita di antichi pani verrà ricordato il mito della Dea Demetra e di sua figlia Kore.
L’una rappresenta la fertilità  con le spighe e le fiaccole, l’altra il passaggio dalla luce del sole alle tenebre, ovvero il susseguirsi delle stagioni e il ciclo vegetazionale:

Panis Farreus, era fatto con la farina del Triticum Cioccum, seminato nelle regioni montuose per ricavarne il farro, ancora usato in Abruzzo.

Panis Nauticus, Galletta dei marinai, pane più adatto a conservarsi per lunghi periodi.ù

Panis Quadratus, pane su cui si segnava in superficie 4 incisioni. Pani ritrovati nelle botteghe dei fornai di Pompei.

Panis Siligendo Flore: Pane bianco, il migliore che si potesse trovare in commercio.

Panis Adipatus: Pizza bianca con impasto arricchito da pezzi di lardo o di pancetta.


Pane e vino, alcuni dei vini in abbinamento: Pigato, Morellino di Scansano, Vermentino, Chianti Classico, Negroamaro rosè, e perché no, un fresco semplice “bollicine” brut.

Cultura: Eros e Vino, una coppia felice.





Disinibito, eccitante, erotico, perfetto compagno di cibi accattivanti: il vino meglio se rosso è il più antico, naturale e democratico stimolatore del desiderio sessuale. Un “afrodisiaco” dei tempi antichi”, un “ Viagra naturale “. Quale il suo pregio? La sfera sessuale sarebbe “ accesa” dai polifenoli potenti antiossidanti ma anche importanti vasodilatatori: le vie del sangue si rilassano piacevolmente, aumentando l’afflusso nei vari distretti compresi quelli” importanti”. Non solo, queste sostanze unite a una bassa quantità di alcool (mai superiore al 20%), agiscono sui centri nervosi  aumentando il senso di piacevolezza e di disinibizione. Un effetto garantito soprattutto per il gentil sesso, come dimostra uno studio in Toscana, condotto su 1000 donne.. Tutto vero? Certo se per scientifico si intende anche la possibilità di dimostrare un evento più volte e di poterlo ripetere, in questo caso siamo in presenza di numeri infiniti… ma la capacità del vino di favorire un particolare stato di grazia, lo si deve al suo abbinamento, in particolare con quei cibi detti afrodisiaci di cui elenchiamo la TOP CLASS.. a beneficio di quel disturbo che molto impensierisce il sesso forte..l’erezione!
Cioccolato meglio se amaro; la feniletilamina eccitante e stimolatore di determinate aree nervose.
Peperoncino: favorisce la vasodilatazione dei corpi cavernosi dove maggiore è la concentrazione del sangue..
Cardamono: speciale contro l’impotenza
 Menta: una delle prime piante medicinali utilizzate come afrodisiaco  stimolatore sessuale soprattutto nelle donna
Cucina allo zafferano: migliora il riscaldamento delle mucose, stimolando le fibre dell’utero
Ostrica: ovvero un pieno di zinco importante per l’ormone maschile, il testosterone
Banana: contiene potassio, contro l’affaticamento ...anche amoroso
Zenzero, ginseng,, avocado, liquerizia, tartufo, .. lasciamo l’incantevole Oriente per parlare della nostra frutta secca: mandorle e noci. Ricche di ferro, vitamine, zuccheri- le prime- sono in grado di dare l giusta energia.. anche nelle prestazioni sessuali. Le noci- almeno due al giorno- sono importanti nell’alimentazione per la loro proprietà antitumorale, oltre a  contenere l’arginina un amminoacido con effetti vaso dilatatori.

Tratto da “Vivere Frizzante” di Emanuela Medi

Eventi:




Alto Adige, il “Giovedi lungo” di Lana e dintorni all’insegna della Green mobility

Dal 29 Giugno l 24 Agosto, Lana, dintorni di Merano




Certo l’Alto Adige non si fa mancare nulla per far conoscere le incantevoli località turistiche e rendere piacevoli le serate estive dei residenti. Protagonista della 18° edizione del “Giovedi Lungo” di Lana e dintorni, Merano che dal 29 giugno al 24 di agosto ospita una carrellata di eventi per grandi e piccini all’insegna della Green mobility,  progetto della Provincia autonoma di Bolzano che punta a fare dell’Alto Adige una regione modello per la mobilità alpina sostenibile La manifestazione parte il 29 Giugno con il RoadShow mobilità elettrica a Lana per finire il 17 Agosto con la festa della mela, eccellenza del territorio. I nove appuntamenti del “Giovedi lungo” vede coinvolti Vigili del fuoco, Soccorso alpino e soccorso acquatico e tanti volontari per dare il meglio di se in questa lunga festa.
Link evento:
https://www.merano-suedtirol.it/it/lana-e-dintorni/event-highlights-a-lana-e-dintorni/cultura-musica-highlights/giovedi-lungo-a-lana/




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We love Tantisng Umbria

Giovedì 29 Giugno e Domenica 2 Luglio, Orvieto.

Importante manifestazione Organizzata dal Consorsio Vino Orvieto con la presenza di grandi chef e degustazione delle aziende locali.

La manifestazione è segnalata dalla Associazione "Donne del Vino" sempre attente alla valorizzazione dei vini del territorio.










venerdì 16 giugno 2017

Ricerca: Polifenoli contro il cancro? Il caso quercitina




I polifenoli, composti naturali presenti in abbondanza in frutta e verdura e spesso presentati come salutari, fanno davvero bene? Hanno cercato di rispondere a questo quesito i ricercatori dell’Istituto di scienze dell’alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Isa-Cnr) di Avellino con due differenti studi  pubblicati su Seminars in Cancer Biology e su Oncotarget. I ricercatori dell’Isa–Cnr confermano quanto sostenuto da molti scienziati e cioè che” i polifenoli in basse dosi, come quelli presenti in frutta e verdura, potrebbero esercitare il loro effetto agendo come blandi-antiossidanti stimolando la risposta della cellula, cioè un potenziamento delle difese. Al contrario, molte evidenze scientifiche mettono in guardia sul trattamento con antiossidanti in pazienti tumorali, nei quali possono indurre resistenza alla terapia convenzionale” dice Gian Luigi Russo, responsabile del team di ricerca. Diverso il caso della quercitina. Nello studio pubblicato su Oncotarget, è stata valutata la possibilità che singole molecole polifenoliche -come la quercitina- esercitino un’ attività antitumorale, indipendentemente dalla loro natura di antiossidante. Ricordiamo che la quercitina , un flavonoide, è presente in alimenti quali le mele, le cipolle, uva e vino rosso” I risultati dimostrano- dice Maria Russo primo autore della pubblicazione- che la  quercitina facilita la morte di cellule maligne  derivate dalla Leucemia Linfocitaria Cronica, la più comune forma leucemica nell’anziano, resistente alla chemioterapia. Si è visto che in dosi farmacologiche la quercitina, in  pazienti affetti da leucemia grave, inibivano l’attività di due enzimi chiave responsabili della resistenza ai farmaci che inducono la morte cellulare. In pratica, la quercitina entra nelle cellule e blocca il meccanismo che favorisce la crescita tumorale con un effetto molto specifico: potenzia l’efficacia di quella sostanza ABT-737 che induce la morte programmata (apoptosi) delle cellule tumorali”.

News: I prodotti di Valceno in uno dei ristoranti più stellati al mondo





E se vi dicessimo che per quattro annate 2010,2011,2012 e nel 2014 i vini di Alberto Carretti, sono stati serviti nel miglior ristorante del mondo secondo il giudizio il “ The Workd’s 50 Best Resturants”?

Parliamo  naturalmente  del Noma di Copenaghen, in pausa di riflessione, come dice Renè Redzepi , il guru della cucina nordica,cha ha firmato  il 24 febbraio 2017, l’ultimo menu del ristorante in Stragrande 93, a due passi dal mare. Una pausa di riflessione come si addice a questo grande cultore -classe 1977- della cucina  fatta di cibo fermentato, di erbe, funghi e muschi della tundra , resi commestibili. Una pausa di riflessione per cercare una nuova spinta creativa, per conoscere e confrontarsi con altre realtà in grado di dare alla sua cucina note che traggono origine da risorse naturali commestibili ma anche più selvagge.  Ma cosa ci stupisce? L’arte di Renè Redzepi o la bellezza di un grande magazzino costruito nel 1766 come deposito per il pesce essiccato e olio di balena in cui si sono sperimentate -per la prima volta-  nuove modalità di consumo come il tavolo sociale o la presenza sulla tavola dei vini della Valceno? Ma chi la conosce questa vallata situata a pochi chilometri da Parma nella quale sono prodotti vini da ristoranti tra i più stellati del globo, sono… meglio è  Podere Pradarolo di Alberto Carretti.
Segue intervista 

Intervista ad Alberto Carretti famoso all’estero, meno in Italia.

Alberto Carretti e sua moglie Claudia


Come è arrivato a Copenaghen?

" In realtà ci è arrivato il mio rappresentante che ha saputo interpretare i gusti e le tendenze dei Paesi nordici, Svezia, Danimarca, Olanda, Norvegia. Nazioni a forte carattere ecologico dove la gente ama  la natura e il benessere salutistico e quindi prediligono quei prodotti, come i miei vini, che hanno le caratteristiche di essere vini naturali , territoriali e di annata quindi non convenzionali. Ogni anno possono essere diversi perché rispecchiano le caratteristiche climatiche di quell’anno. Non hanno solfiti ne lieviti selezionati e rispecchiano fortemente il territorio, diversamente da quanto accade per molti vini molto lavorati dall’enologo tanto da renderli perfetti sul piano gustativo ma molto convenzionali e per nulla  territoriali."

 Lei come ha iniziato?

"Nasco tecnico caseario specializzato in microbiologia casearia ma con l’animo da viticoltore. 
Capisco subito che il futuro dei miei vini è il territorio e mi metto a cercare quello di cui avevo sempre sentito parlare in giro per la vallata: la presenza di vitigni autoctoni tanti, ora scomparsi. Chiedo a quei pochi pochissimi vignaioli della vallata i quali mi confermano la presenza di almeno 20 vitigni. Io personalmente ho scoperto, meglio ritrovato la termarina rosa, vitigno autoctono antico, un sinonimo del Corinto rosa: uva dagli acini minuti dolcissimi (un tempo ci si faceva l’uva sultanina) privi di semi. Molto fruttata con alto grado zuccherino  mescolata ad altre uve ne migliorava la qualità e il tenore alcolico. Quest’uva ha una particolarità che è solo di questa vallata: deve subire un’incisione anulare alla base del capo frutto, in caso contrario si può compromettere tutto il raccolto. Poche piante, allora ne avevo 50 oggi 2000 sovrainnestate sul Cabernet Sauvignon (peccato di gioventù  per la passione dei vitigni internazionali). Con quest’uva facciamo un passito ”Il Canto del Ciò” con metodo solera da uve biologiche di Termarina appassite al sole ottenuto senza aggiunta di solforosa, molto apprezzato che è entrato nel circuito del solera. Abbiamo molto diffusa la Barbera- naturale proseguimento dell’Oltrepò Pavese ma in forma più elegante meno austera di quella Piemontese, non manca ovviamente la bonarda da noi chiamata croatina e la malvasia di Candia aromatica che in realtà non è il vecchio vitigno originario. Stiamo recuperando la vecchia Malvasia di Parma odorosissima leggermente diversa dalla malvasia di Candia per la presenza di un leggero tannino e acidità fissa."

Lei mi ha parlato più volte di territorio, Da un punto di vita pedoclimatico come si configura la Valceno?

"I nostri territori sono molto antichi, risalgono al terziario, con marne violacee, sub alcalino  con un calcare molto attivo fino al 18%, tanto da imporre dei porta- innesti molto resistenti. Limo, argilla sabbia, sassi, ciotoli di fiume perchè la vallata anticamente era ricoperta da un lago. Formazione che regala vini  profumatissimi come la nostra malvasia, eleganti e fini caratteristica dovuta dalle forti escursioni termiche notte-giorno con una differenza anche di 20 gradi. Come ho già detto i nostri vini sono naturali, non utilizziamo lieviti se non quelli autoctoni, non facciamo crio-macerazione, ne macerazione a temperature controllate, niente acciaio, solo vecchie barrique utilizzate come contenitori."

Allora Podere Pradarolo e i suoi vini, quale è il segreto del loro successo?

" La definizione  più adatta per i miei vini è che sono tutti selvatici, fortemente territoriali, assolutamente naturali tanto da essere diversi ogni annata. Territorio e annata il mio binomio vincente. Parliamo del Velius, antico nome di Serravalle perché Podere Pradarolo si trova in una frazione del borgo: un rosso rubino dalla macerazione lunghissima, tre mesi in acciaio e cemento e poi 18 mesi in botte grande e successivamente in bottiglia, minimo sei mesi. Contiene 90% di barbera e 10% di croatina. Un vino lunghissimo che potrebbe durare 20 anni scarsamente minerale, senza tannini, ma molto  floreale con un tocco di violetta e fruttato da libesquero e vaniglia, sentore dato dal vitigno e non dal legno. Parlavo della Malvasia di Candia con cui produciamo il Vej, in tre versioni: passito, vino fermo da lunghissima macerazione e vino spumante. E’con questo spumante che tutti mi hanno dato del pazzo perché è l’unico spumante da vino macerato. "

Una sfida alle regole della spumantistica?

" Esatto: diciamo  che è una chimera enologica perché alla base del nostro spumante utilizziamo il mosto fresco dell’anno successivo come unico agente fermentante. Secondo le regole del metodo classico la macerazione estrae sostanze antischiumogene in particolare polifenoli che diluiscono la co2 e quindi interferiscono sulla presa di spuma e sulla persistenza della spuma. Inoltre utiliziamo la mallo lattica vista molto male, dal metodo classico. Ma  perché non provare, in fondo questo mio metodo era già stato messo a punto da Scacchi grande enologo marchigiano, 50 anni prima di Don Perignon. Risultati deludenti i primi anni, poi ho scoperto il segreto: una finestra temporale che non dura più di 24 ore nell’arco della quale si aggiunge il mosto. Obiettivo centrato per un Vino Spumante Metodo Classico- brut da Malvasia di Candia Aromatica in purezza, prodotto con uve biologiche a lunga macerazione ( 60gg) senza solforosa, lieviti autoctoni. Vinificazione e  affinamento solo in acciaio poi 24 mesi sui lieviti. Una bella scheda tecnica per uno spumante dal sentore netto di rosa antica, con tannini ben presenti ma dal corpo rotondo."



Cultura: l’ombelico della Sulamita




Il Cantico dei Cantici, attribuito a Salomone, che descrive minuziosamente le bellezze della Sulamita, fa menzione in particolare al  suo ombelico uguale a un vaso a mezzaluna dove il vino non manca. Apriti cielo! Da secoli infuria lo scontro attorno a questo dannato ombelico. Lutero proprio lo detestava: bere a questo modo del vino nel vaso di una donna è cosa sconveniente, fuori posto, insomma una sciocchezza. Più o meno nello stesso periodo il poeta e mistico Luis de Leόn precisa che questo ombelico rotondo come una luna quando è piena, rappresenta ” il suo ventre rotondo, ben fatto, né flaccido, né magro, ma pieno di forza, che mai gli manca ”. Nel secolo scorso  Ernest Renan sosteneva che “la donna dell’ombelico” non si trattava della Sulamita, ma di una baiadera del serraglio di Salomone, il quale  ne tesseva le lodi mentre danzava e così scriveva ” il tuo seno è una coppa tonda, piena di un vino aromatico ”. La baiadera aveva un seno concavo? In realtà l’antropologo Gutierre Tibόn lo ha dimostrato senza dubbi: “L’ombelico della più bella di tutte le donne, perché proprio del suo ombelico si tratta, è cavo come una piccola coppa e rassomiglia a un quarto di luna”.


L’ombelico per un passaggio della Bibbia sarebbe un’allusione a Gerusalemme, chiamata l’ombelico della terra, mentre una nota alla traduzione ecumenica della Bibbia indica che si potrebbe trattare di un eufemismo per designare il sesso femminile. Per Desmond Morris noto etologo, l’ombelico a forma di chicco di caffè si schiude e rivela due piccole labbra segno potente di sessualità. Non era il caso della Sulamina che di certo non accettava che lo si usasse come bicchiere di vino! Già il vino, ma cosa c’entra? In realtà non lo sappiamo. Ma il mito irresistibile è rimasto tanto che nelle Mille e una notte, Shahrazād sosteneva che il suo ombelico poteva contenere un’oncia di muschio “il più soave di tutti i profumi”. Pepe macinato, semi di papavero, spezie afrodisiache, nettare di api, incenso e perché no un Chateau Margaux , un Sassicaia, un Aglianico del Vulture: perché ancora oggi l’ombelico può essere il ricettacolo di essenze varie da cui gli amanti ne traggono rinnovate forze. Basta crederci!

Enogastronomia: A tavola con i porcini e i tartufi, parlando inglese, meglio gallese.


E’ vero ci siamo un poco innamorati della Valceno e dei suoi prodotti, e allora quale posto migliore se non un ristorante per gustarli nella loro ricchezza di sapori e odori?  IL Ristorante “Le due spade” collocato nella parte più antica di Bardi - antichissimo borgo della Valceno - e precisamente nella Piazza del Grano  in ricordo degli antichi granai del Castello, ha un odore e un carattere inconfondibile: i porcini e il tartufo della zona e la parlata inglese, meglio gallese. Ce lo spiega Massimo Berzolla, proprietario del locale, cuoco autodidatta nato a New York  con lunghissimo soggiorno in Inghilterra e ora a Bardi.
“ A partire della metà dell’Ottocento - dice-  inizia l’epopea della emigrazione, la Valceno non è da meno: in molti si trasferiscono in America e in Inghilterra, precisamente nel Galles. Io nasco a New York da madre la cui famiglia era emigrata nel Galles e da padre con genitori praticamente americani. Moltissimi dei figli, nipoti, pronipoti tornano a Bardi e non solo d’estate, costituendo una colonia in gran parte inglese e ovviamente parlano inglese, meglio gallese.”
Il menu  cede il posto d’onore ai tartufi della zona bianchi e neri e ai porcini. I secondi non sono da meno:  sublimi  i funghi porcini fritti. Ma la tradizione antica resiste con un  piatto storico: i crucetti o crusetti.
Non si conosce bene l’origine di questo piatto che rientra nella tradizione culinaria della Liguria e della Lunigiana piuttosto che di quella della Pianura Padana. La sua caratteristica risiede nello stampo su cui ogni famiglia di Bardi incideva e ancora incide il  nome.

La ricetta? Sfoglia tirata non troppo sottile su cui, con l’apposito stampo- si ricavano I dischetti di pasta che riportano -impresso dallo stampo- il nome indicato. Nella tradizione Bardigiana, i crusetti si condiscono con il ragù stracotto, in Liguria con il pesto, nel Bedonise con ragù di lepre. Al ristorante “Le due spade” non potevano mancare i bei vini locali dai vini locali quali la Barbera rosso, il Gutturno rosso frizzante da vitigno autoctono dei colli Piacentini e il Lambrusco Parmense.



venerdì 9 giugno 2017

Ricerca: LA VERA STORIA DEL CERVARO DELLA SALA: INTERVISTA CON RENZO COTARELLA



Parlare con Renzo Cotarella attuale amministratore delegato della Marchesi Antinori, significa non solo ripercorrere la storia di un grande vino, il Cervaro, ma anche quella di una grande azienda e di un progetto che ha saputo interpretare e valorizzare, al meglio, il territorio in cui si è sviluppato.
Simpatico, incisivo con una parlata senza fronzoli, Cotarella mi ha ripetuto più volte ”Questa è la vera storia del Cervaro”.


" Mi sono innamorato del luogo: un innamoramento disincantato, da fanciullo: era la primavera del 1979 avevo 26 anni, ero temerario, incosciente - come lo si è a quell’età - ma sentivo questa terra, l’Umbria dai grandi vini bianchi come lo è la Toscana dai grandi vini rossi. 170 ettari, mamma mia! Tanti, da valorizzare, per ottenere vini bianchi dotati di maggiore personalità rispetto a quelli che si producevano allora, nel’area dell’Orvietano classico, dove è situato Castello della Sala. Cambiare, valorizzare mantenendo l’identità di un territorio ricchissimo di calcare, di sedimenti vulcanici che avrebbero potuto regalare vini bianchi profondi e molto minerali. Quando venni nel '79 in questa azienda si produceva solo Orvieto, Grechetto e Trebbiano: tre varietà autoctone che ci davano una grande preoccupazione: la maderizzazione ovvero il rapido cambiamento di colore verso l’ambrato ( come il madera da cui deriva il nome maderizzato). Vini che invecchiavano precocemente: non più di un anno e mezzo. Dovevamo cambiare: ma da dove partire? Intanto dotando i nostri bianchi della capacità di saper invecchiare, meglio di un lungo invecchiamento. Un grande vino bianco per me, deve saper evolvere giorno per giorno senza perdere la sua personalità... E poi cosa ho trovato... Piero Antinori un innamorato di questa terra, ma non solo: un ricercatore, un innovatore, come lo è uno scienziato che vuole capire cosa c’è dentro una cellula tumorale per distruggere le malate e salvare le buone. Con il Marchese cercavamo qualcosa di diverso: un bianco che si affiancasse ai grandi bianchi internazionali, meglio della Borgogna e che in qualche modo ricalcasse la nascente icona del Tignanello. "

COME NASCE IL CERVARO?

" A quei tempi il nostro riferimento era il Gavi di Gavi della Scolca: un bianco secco, fresco e minerale dai sentori di albicocca, pesca, molto raffinato. Poi,il colpo di fulmine: un viaggio in Borgogna nel 1981, l’assaggio del Corton Charlemagne - Grand Cru. Un grande vino bianco che per potersi esprimere pianamente doveva invecchiare, un’altra dimensione del mondo del vino. 
Eccolo: questo è quello  che voglio!. Nasce il progetto Cervaro e parlo di progetto  fatto di prove, aggiustamenti: dal porta-innesto all’altezza dei filari, dalla ricerca della particella dove piantare lo Chardonnay. Non avevamo dubbi io e il marchese Antinori: lo Chardonnay era il vitigno giusto ma  dovevamo accostarlo con quel qualcosa che indicasse il luogo, meglio il territorio: la scelta di un compagno felice dello Chardonnay ricadde sul Grechetto, vitigno autoctono ( ricordo che il Grechetto è sempre presente nei nostri prodotti con percentuali che si diversificano a seconda del vino che vogliamo ottenere ). Un vino che se anche non esprime il massimo dell’eleganza comunque porta con le sue asperità anche tanniche, quella verticalità che lo Chardonnay non possiede, specie nelle annate calde come questa, rischiando di  sedersi e di diventare quasi burroso. Il Grechetto anche in basse percentuali(5-10%) conferisce quella quota di acidità che abbiamo ricercato in molte selezioni clonali, addirittura fatte in California.
L’avventura prende forma, ma non avevamo una storia - come per i rossi - e una ”cultura” sufficienti a capire questo nuovo modo di produrre. Mi riferisco all’uso delle barrique e della macerazione a freddo pre-fermentativa per i vini bianchi. Addirittura allora c’era la convinzione, che, essendo il vino bianco più delicato del rosso, si dovevano evitare le barrique nuove, che invece diventarono indispensabili per produrre il Cervaro. Devo dire che il primo esperimento fu deludente: un vino bianco grossolano che non sapeva di niente. Poi arriva il 1986, lo sentivo una grande annata, per un vino non banale, di grande invecchiamento. Riuscimmo a gestire la macerazione semplicemente raccogliendo l’uva nelle primissime ore del mattino per sfruttare l’abbassamento notturno delle temperature. Utilizzammo solo barriques nuove, dove decidemmo di far fermentare il mosto anche a rischio di un controllo non ideale del processo fermentativo, ma convinti che il vino dovesse diventare tale con il legno... poi ancora la decisone di mantenere il vino a contatto con i lieviti naturali senza travasi favorendo la fermentazione mallolattica in barrique. Un altro tassello per il CERVARO: da allora non abbiamo fatto più modifiche."


COSA E’ PER LEI IL CERVARO?

" Tutto quello che ho detto ma con qualcosa in più. Cervaro è un progetto ma è soprattutto il momento di svolta dello stile Antinori. Se oggi Piero è quel gran nome della enologia Italiana e internazionale lo deve - secondo me - più al Cervaro che al Tignanello. 
Cervaro è lo stile Antinori, è l’emblema di un territorio ancora non fortemente antropizzato, è una grande azienda agricola dalle molte realtà."


AMA PIU’ I ROSSI O I BIANCHI?

" Tutti e due, ma devo essere sincero. Il mio cuore è per i banchi. Con rossi si può giocare con il tannino, il colore, il legno, i vari passaggi della vinificazione, dell’affinamento... con i bianchi non si può barare. Devono essere perfetti, puri, devono evolversi ogni giorno in modo virtuoso per dare voluttà, vibrazione, sensazioni. Per fortuna oggi abbiamo perso quel concetto che un vino per essere importante deve essere ”potente”, meglio seguire la logica dell’eleganza, data  dalla mineralità e dal lungo invecchiamento. E poi basta con tutte quelle diavolerie di internet, altimetri, apparecchiature di ogni tipo: per me il vino si fa in vigna, dove deve stare l’agronomo, e in cantina, con l’enologo!"




Gentile Monaldeschi della sala : un potente nè gentile, nè signore.



Il Castello della Sala ha una storia molto tormentata e antica, costruito nel 1530 per volontà di Angelo Monaldeschi della Vipera, potente famiglia dell’Orvietano, giunta in Italia nel IX sec a seguito delle truppe di Carlomagno. Certo I Monaldeschi non furono una famiglia pacifica: si divisero in quattro clan sempre in lotta tra loro. Come in tutte le grandi, piccole famiglie c’è sempre qualcuno che vuole fare il “capo”: nella famiglia Monaldeschi fu Gentile Monaldeschi della Sala che non fu ne gentile ne signore. Visse al Castello per 10 anni, in perenne lite con il Papato, sufficientemente crudele e litigioso con i vicini: il Papa Paolo II per toglierselo di mezzo lo nominò comandante delle sue truppe in Romagna. Fortuna o disgrazia volle che Gentile morì in un combattimento e da allora Castello della Sala con tutte le proprietà, passarono allo Stato Pontificio, segnando un periodo di relativa pace. La storia fece il suo corso: con l’Unità d’Italia, furono espropriati i beni della Chiesa e il Castello passò a nuove mani, forse non fortunate perché appena potè lo Stato Italiano lo vendette a privati l’ultimo dei quali fu il Marchese Nicolò Antinori che lo acquistò nel 1940 per tre milioni e 400mila lire. Grande fiuto: già da allora Antinori credette nelle potenzialità di questo territorio.

Attualità: Una cultura che manca, il vino e l'olio





Non poteva esserci titolo più emblematico e rappresentativo per il 10° Forum Internazionale della cultura del vino e dell’olio. Il tutto si racchiude un una parola, meglio in un concetto: Cultura, ma quale , dove? Dice bene Franco Maria Ricci, presidente della Fondazione Italiana Sommelier, che il Forum rappresenta una giornata contro l’impotenza e l’immobilismo di un Paese. Un Paese che non si occupa e che ha paura di far conoscere il Vino italiano, al primo posto al mondo. Ma non si tratta solo di cultura del vino, sconosciuto –tranne una sparuta minoranza- a oltre 60 milioni di persone. Si tratta anche e molto di olio, altra grande eccellenza italiana, ma anche di pomodoro, basilico prodotti che nessun altro paese al mondo  nemmeno sogna di produrre... e poi i nostri grandi tesori d’arte... Colosseo in primis. ”Forse- chiosa il presidente della FIS- pagheremo meno tasse o non le pagheremo affatto se fossimo capaci di valorizzare le nostre  eccellenze e sviluppare un turismo degno di questo nome.”

“Il vino fa parte della storia di una nazione - rincara Franco Ricci - e come tale in Francia viene insegnato fin dalle elementari ed è materia d’esame nei Curricula Universitari. In Italia stiamo ancora lottando per ristabilire le molte verità sul vino a partire dalla consapevolezza che non’ è il responsabile di tanti incidenti stradali.” Divulgare, certo non è facile, ma loro, il gruppo ormai storico di Bibenda, c’è: hanno portato a scuola 45.000 giovani e meno giovani di Roma, per anni a fianco dei Ragazzi di San Patrignano e a quello della casa famiglia del Capitano Ultimo, e poi ancora corsi per le carceri di Rebibbia e di Regina Coeli senza dimenticare i Vigili del Fuoco e i carabinieri dei Nac. Agguerrita, compatta, la squadra non perde di vista l’obiettivo principale: formare, insegnare per diventare sommelier di livello e ambasciatori del vino, ognuno nel suo settore, anche in privato .


Il programma:







Cultura: La civiltà islamica e il vino come medicamento




Nel mondo arabo medioevale  il vino e lo zucchero erano due farmaci, ambedue ottenuti per estrazione. Il primo cambiò le abitudini culinarie della popolazione araba ma soprattutto, grazie alla sua capacità di conservazione, cambiò la farmacopea attraverso la preparazione di sciroppi zuccherati. La loro  produzione e conservazione diede luogo, nel mondo arabo, a una specializzazione in farmacia: il mestiere di preparatore di bevande o sciroppi (sarrab) segnalato nei trattati medici. Il secondo farmaco, il vino pur essendo ritenuto un “ rimedio” conforme al dettato coranico era  vietato- se abusato- anche dal punto di vista medico. Avicenna medico, filosofo, fisico persiano, (I sec DC), ritenuto il più grande scienziato dell’Islam usava bere vino per aumentare la propria concentrazione  e di questa bevanda così scrive nella sua opera IL CANONE DELLA MEDICINA“Corregge le  perdite di genere biliare; il vino nuovo e il vino denso e torbido provocano nei vasi sanguigni una congestione  e un accumulo di sostanze crude. Il vino migliore è quello vecchio e chiaro e sarà preso a dosi diverse a seconda delle età: per i giovani una piccola quantità con del succo di melograno perché le grandi quantità provocano danni. Alle persone anziane si dia come è senza diluirlo  Il vino migliora il colorito, elimina la vitiligine  e la pitiriasi se preso con i farmaci indicati, versato sulle ulcere e piaghe ha un effetto benefico. Se si persiste a prenderlo agisce sulla testa inebriando e rendendo sonnolenti, fa perdere la memoria, nuoce ai nervi  e provoca tremiti, rilassa i nervi ma anche li indebolisce. Quanto al vino addizionato con miele, è benefico per le articolazioni, deterge i condotti polmonari, ha un passaggio rapido, si digerisce facilmente e libera lo stomaco dalle scorie. E’ nutriente , aumenta l’appetito ed esalta l’anima.
Avicenna cita anche l’azione benefica del vino contro i veleni e così dice 
"il vino agisce contro le morsicature di tutti gli animali in particolare di quelli freddi, quando bevuto o utilizzato in soluzione esterna. Preparato con l’acqua di mare  protegge dai veleni stupefacenti, dalla ingestione di letargico o di funghi. Ringraziamo Dio che ha fatto del vino un farmaco che stimola il calore innato” 

 L’utilità del vino per la preservazione della salute era nota anche ad Averroè, giurista, filosofo, medico arabo di Spagna( Cordova 1126- Marrakesh 1198) che pur citandolo  nel suo TRATTATO SULLA TERIACA quale potente antidoto ne ricordava la sua utilità se mescolato con gli altri ingredienti della teriaca in modo da perdere la sua nocività.

news: Ultime battute a Roma per Vinòforum


News: Torna in Franciacorta il Festival d'Estate.




E’ uno degli appuntamenti più seguiti dai wine&food lovers: dal 2 al 16 giugno vino,  grandi chef, arte cultura, natura e sport animeranno uno dei territori più vocati e famosi per le bollicine, del nostro paese.
Ci piace segnalare le due giornate clou: il 17-18 giugno con le cantine aperte a micro eventi a tema,visite guidate e degustazioni. Aperte al pubblico anche le aziende di prodotti tipici e distillerie, che  sveleranno ai visitatori i segreti delle loro lavorazioni. Ristoranti, trattorie, agriturismo e wine bar offriranno personalissimi Menu festival
Domenica 18 si replica ma con momento diciamo “molto allettante” che vedrà tutti i protagonisti della Franciacorta ritrovarsi nello storico e scenografico Palazzo Monti della Corte  di Nigoline di Corte Franca per un raffinato Brunch Pic Nic con piatti d’autore. Nemmeno a dirlo Chef locali e Chef ospiti daranno il meglio di sé con insospettate creazioni.

La solita bevuta e mangiata? Onestamente no, il festival d’Estate propone molti momenti di cultura per conoscere il territorio antichissimo, i vitigni autoctoni e la nascita della grande storia delle” bollicine” raccontata da grandi e piccoli imprenditori  che hanno creduto nel loro patrimonio ampelografico.