venerdì 22 gennaio 2016

Ricerca. Alcool e cancro al polmone: piccola ma significativa riduzione del rischio con un drink e mezzo al giorno.

  Lo studio americano pubblicato appena prima di Natale on line  su American Journal Epidemiology


Abstract:

Alcohol is a carcinogen suspected of increasing lung cancer risk. Therefore, we prospectively evaluated the relationship between alcohol consumption and lung carcinoma in 492,902 persons from the National Institutes of Health-AARP Diet and Health Study. We used Cox models to calculate hazard ratios and 95% confidence intervals, adjusting for tobacco smoking and other potential confounders. Between 1995/1996 and December 31, 2006, there were 10,227 incident cases of lung carcinoma, classified as adenocarcinoma (n = 4,036), squamous cell carcinoma (n = 1,998), small cell carcinoma (n = 1,524), undifferentiated carcinoma (n = 559), and other (n = 2,110). Compared with nondrinking, alcohol consumption was associated with a modest nonlinear reduction in total lung carcinoma risk at lower levels of consumption (for 0.5–<1 drink/day, HR = 0.89, 95% confidence interval: 0.82, 0.96) but a modest increase in risk in the highest category (for ≥7 drinks/day, HR = 1.11, 95% confidence interval: 1.00, 1.24). Regarding histological type, alcohol was associated with a nonlinear reduction in squamous cell carcinoma that became attenuated as consumption increased and a modest increase in adenocarcinoma among heavier drinkers. Cubic spline models confirmed these findings. Our data suggest that the relationship between alcohol consumption and lung carcinoma differs by histological subtype.

(T. Roche, Mayne ST, Fredman ND, ShelbFM, Abnet CC)
(Pubblicato dall’ufficio stampa della Università di Oxford per conto del Johns Hopkins School of Public Health 2015.)

Uno studio americano effettuato su  492,902  persone seguite per 10 anni e pubblicato poco prima di Natale sulla prestigiosa rivista American Journal Epidemiology, dimostra la lieve diminuzione del rischio di tumore polmonare correlato alla assunzione di basse quantità di alcool pari a 1 drink e mezzo al giorno. La diminuzione è piccola ma significativa. 
I pazienti sono stati reclutati dal National Institute of Health  americano. 
Ma andiamo per gradi: 
Sull'abstract dell’articolo visibile on line  si legge che sebbene l’alcool sia da sempre considerato un cancerogeno in grado di aumentare il rischio del cancro polmonare il lavoro ha voluto esaminare l’evidenza di questa correlazione e a quali quantità. Sono stati usati dei modelli che prendevano i considerazione altri cofattori oltre l’alcool, come il tabacco. In un periodo di 10 anni e precisamente tra il 1995/96 e il Dicembre 2006, nella popolazione esaminata si sono verificati 10.227 casi di cancro polmonare tra adenocarcinomi, tumori a piccole cellule, a cellule squamose, tumori indifferenziati e altri. Questa popolazione paragonata ai non bevitori ha dimostrato che il consumo di alcool è associato a una modesta riduzione dell’incidenza del carcinoma polmonare in rapporto a basse quantità di alcool, fino a 1 bicchiere e mezzo al giorno mentre l’aumento del rischio- anche se lieve- si evidenzia quando la porzione di alcool è superiore, pari a più di 7 drink al giorno. Per quanto riguarda l’istologia del tumore (Histological type) si è visto che l’alcool è associato a una piccola riduzione del tumore a cellule squamose se assunto a basse quantità mente il modesto aumento degli adenocarcinomi è visibile nei forti bevitori. Questa evidenza suggerisce che la relazione tra consumo di alcool e tumore polmonare dipende dai differenti sottotipi istologici.

Cultura: Le osterie: L'antica "Garbatella" Roma




Antenate degli alberghi e delle pensioni di oggi, le osterie hanno avuto, nel corso dei secoli, un’importante funzione anche  sociale in quanto  luoghi di prima accoglienza. Offrivano vino, vitto ,a volte alloggio.. soprattutto ai pellegrini, sbandati e non infrequentemente moribondi. Sì, proprio questi ultimi venivano accolti più che volentieri dall'oste e non solo per carità cristiana. In caso di morte ”ereditavano “ tutto quello che aveva indosso il poveretto.  Divise per differenti categorie,  prendevano il nome dalle insegne che esponevano: un angelo, due spade un leone.. le più..anonime il nome o soprannome del proprietario . Il maggior numero delle osterie si trovava fuori le mura della città o accanto alle stazioni di posta: qui alloggiava chi non aveva le carte in regola per entrare nella città, piccoli briganti, soldataglia e pellegrini. Certo il pubblico delle osterie non era dei più blasonati visto che in città erano luoghi frequentati da prostitute, ladruncoli, sbirri e vagabondi, ma l’aria rilassata e licenziosa le rendevano molto gradite.. Tante, tantissime le osterie sparse un po’ ovunque sul territorio nazionale, molte moltissime considerate di “ quartiere” aldilà delle funzioni amministrative delle stesse. A Roma famosa l’osteria Garbatella” situata nell’omonimo quartiere capitolino fondato negli anni venti nelle zone accanto la Basilica di San Paolo fuori le mura ( lato sinistro del’odierna Via Ostiense per chi proviene da Porta San paolo). Il nome del quartiere-sembra- provenga dalla proprietaria dell’osteria ”Garbatella”, di nome Maria o Carlotta, molto amata  per i suoi modi  gentili , per altri licenziosi  verso i viaggiatori: da qui la parola “garbatezza”.Un’altra interpretazione, più verosimile sul nome del quartiere, proviene dalla coltivazione  della vite detta ”a barbata” o “garbata” nella quale le viti venivano appoggiate agli alberi di olmo. Coltivazione utilizzata nella grande “ tenuta dei 12 cancelli”, (comprendente l’attuale Via delle Sette Chiese) di proprietà del Monsignore Alessandro Nicolai, ministro dell’agricoltura  di Papa Gregorio XVI( 1765-1846) . 

News: I VINI A BASSA GRADAZIONE ALCOLICA

SONO ANCORA UNA NICCHIA, MA CON UN OTTIMO POTENZIALE DI CRESCITA, SPECIE IN CANADA, USA, UK E GERMANIA. IL PROBLEMA, COME RACCONTA IL REPORT DI WINE INTELLIGENCE, È CHE IN MOLTI NON NE CONOSCONO NEANCHE L’ESISTENZA

Il vino a basso contenuto alcolico rimane una categoria complessa e interessante, con diversi mercati che mostrano segnali incoraggianti di crescita, nonostante ostacoli importanti ancora esistenti. Secondo il report “Lower Alcohol Wines - A Multi-Market Perspective 2016” di Wine Intelligence (www.wineintelligence.com), che ha analizzato l’andamento dei vini a basso tenore alcolico su otto mercati differenti, è dal Nord America che arrivano le indicazioni migliori, con un 2015 in decisa crescita. Il Canada ha mostrato la crescita maggiore anno su anno, con i consumatori che sono passati dai 5,1 milioni del 2014 ai 7 milioni del 2015. La categoria 6-8,5 gradi ha visto un aumento particolarmente marcato nel 2015, conquistando il 22% dei wine lover, il doppio dell’anno precedente.Nel frattempo, gli Stati Uniti rimangono il più grande mercato della categoria, con 40 milioni di consumatori, pari al 43% di tutti i wine lover del Paese. Un altro mercato in crescita è quello del Regno Unito, dove il 34% dei bevitori regolari ha acquistato vini a basso tenore alcolico, ed un altro 20% che si dice aperto alla possibilità. Una crescita dettata soprattutto da un aumento della preoccupazione per la salute , che riflette una tendenza più ampia di riduzione dei consumi alcolici. In questo senso, anche la Germania, che ha nella bassa gradazione alcolica una caratteristica stilistica di molti suoi vini, resta un mercato forte, con il 47% dei wine lover che, infatti, opta per vini a bassa gradazione, la percentuale più alta tra tutti i mercati analizzati.A fare da contraltare alla crescita di molti mercati, c’è il tracollo della Francia, dove, al contrario, il numero di acquirenti è sceso da 12 a 7 milioni nel giro di un anno, un calo spiegato con un certo pregiudizio da parte dei wine lover d’Oltralpe: per un quarto di loro, infatti, il vino a bassa gradazione alcolica non è un vero e proprio vino. “È evidente che i vini a basso contenuto di alcol abbiano un enorme potenziale di crescita in diversi mercati, ma per ora - commenta Richard Halstead, Ceo di Wine Intelligence - la categoria rimane una nicchia. Un fattore cruciale per capire se avranno la capacità di uno slancio ulteriore ed uscire dal guscio è il superamento dell’ostacolo più grande: farsi conoscere, perché molte persone, molto semplicemente, dei vini a basso tenore alcolico non sanno neanche l’esistenza”.

(Winenews)

News: IL VINO BIOLOGICO È USCITO DALLA NICCHIA

IN EUROPA È SCELTO DAL 34,9% DEI WINE LOVER, CONQUISTANDO SEMPRE DI PIÙ GIOVANI E DONNE. A DIRLO IL SONDAGGIO DI SUDVINBIO, CHE TORNA CON IL SALONE MILLÉSIME BIO, A MONTPELLIER, DAL 25 AL 27 GENNAIO


Il vino biologico è uscito dalla nicchia, ed ormai veicola i consumi della Vecchia Europa, dove il 34,9% dei wine lover ha già bevuto almeno una volta una bottiglia di vino bio, una scelta sempre più popolare tra i più giovani e tra il pubblico femminile, come emerge dal sondaggio di Sudvinbio, l’associazione nata dai produttori bio della Languedoc-Roussillon nel 1991, ed oggi in prima fila nella promozione a livello europeo con il salone Millésime Bio (di scena a Montpellier dal 25 al 27 gennaio, www.millesime-bio.com).
A livello europeo, emerge un dato interessante dal sondaggio Sudvinbio: il Paese in cui il vino è più popolare non è la Francia, come si potrebbe facilmente ipotizzare, ma la Svezia, dove il 72,5% della popolazione beve ed apprezza il vino, mentre in Uk la percentuale è del 71% ed in Francia del 69,5%. I francesi, invece, sono i più attenti alla tracciabilità di ciò che mangiano e bevono, preoccupazione che accomuna l’87,1% dei cittadini d’Oltralpe su una media europea del 77,8%. Tornando alla penetrazione sui diversi mercati, il 51,2% degli svedesi consuma vino biologico, contro il 35,8% dei francesi, il 31,5% dei tedeschi ed il 21%degli inglesi, ma le percentuali sono ben diverse se si considerano solo i consumatori abituali, con i vini bio scelti abitualmente dal 40,4% dei francesi, dal 35,1% degli inglesi, dal 26,7% degli svedesi e dal 23% dei tedeschi.
Un altro aspetto interessante è la matrice “femminile” del mercato del vino bio, con le donne responsabili del 50,5% dei consumi totali, in un mercato ancora dominato dai consumi degli uomini: in Francia, ad esempio, le wine lover rappresentano il 44,3% del totale, percentuale che sale al 46,3% se si parla solo di consumi bio, con al top l Regno Unito, dove le donne sono protagoniste del 54,3% dei consumi di vino biologico. Consumo “rosa”, ma anche giovane, con il 23% dei consumatori europei di vini bio sotto i 35 anni, percentuale decisamente superiore a quella dei consumatori di vino abituali. Inoltre, il 59,6% dei bio lover considerano l’ambiente come una priorità, con i picchi di Francia e Svezia, e le eccezioni di Germania e Regno Unito, dove la scelta del vino bio è legata principalmente ad una questione di palato. E non è certo una sorpresa che i consumatori abituali di vini bio siano molto più attenti alle questioni ambientali della media europea, ma anche i più convinti dei benefici di una dieta a base di prodotti biologici, ed ovviamente i più disposti (86,9% la media europea) a pagare di più una bottiglia di vino bio. Quanto di più? In media, 1,20 euro. Un surplus che, in Francia, è il primo ostacolo all’acquisto per chi solitamente non compra vino biologico (indicato dal 34% dei francesi), mentre negli altri Paesi è la mancanza di informazioni a tenere lontani eventuali nuovi bio lover. 



(WineNews)

Cultura: Ode al vino, Pablo Neruda


Vino color del giorno,
vino color della notte,
vino con piedi di porpora
o sangue di topazio,
vino,
stellato figlio
della terra,
vino, liscio
come una spada d’oro,
morbido
come un disordinato velluto,
vino inchiocciolato
e sospeso,
amoroso,
marino,
non sei mai presente in una sola coppa,
in un canto, in un uomo,
sei corale, gregario,
e, quanto meno, scambievole.
A volte
ti nutri di ricordi
mortali,
sulla tua onda
andiamo di tomba in tomba,
tagliapietre del sepolcro gelato,
e piangiamo
lacrime passeggere,
ma
il tuo bel
vestito di primavera
è diverso,
il cuore monta ai rami,
il vento muove il giorno, nulla rimane
nella tua anima immobile.
Il vino
muove la primavera,
cresce come una pianta di allegria,
cadono muri,
rocce,
si chiudono gli abissi
nasce il canto.
Oh, tu, caraffa di vino, nel deserto
con la bella che amo,
disse il vecchio poeta.
Che la brocca di vino
al bacio dell’amore aggiunga il suo bacio

Amor mio, d’improvviso
il tuo fianco
è la curva colma
della coppa,
il tuo petto è il grappolo,
la luce dell’alcool la tua chioma,
le uve i tuoi capezzoli,
il tuo ombelico sigillo puro
impresso sul tuo ventre di anfora,
e il tuo amore la cascata
di vino inestinguibile.
la chiarità che cade sui miei sensi,
lo splendore terrestre della vita.

Ma non soltanto amore,
bacio bruciante
e cuore bruciato,
tu sei, vino di vita,
ma
amicizia degli esseri, trasparenza,
coro di disciplina,
abbondanza di fiori.
Amo sulla tavola,
quando si conversa,
la luce di una bottiglia
di intelligente vino.
Lo bevano;
ricordino in ogni
goccia d’oro
o coppa di topazio
o cucchiaio di porpora
che l’autunno lavorò
fino a riempire di vino le anfore,
e impari l’uomo oscuro,
nel cerimoniale del suo lavoro,
a ricordare la terra e i suoi doveri,
a diffondere il cantico del frutto

Ricerca: Convivialità e crisi economica: due aspetti della dieta mediterranea


Intervista con il Prof Giovanni de Gaetano dell’istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed





Prof De Gaetano, Esiste la dieta mediterranea e cosa mette in comune la dieta di un piemontese con quella di un siciliano?

Vorrei chiarire che con il termine dieta mediterranea si intende un modo di alimentarsi tipico delle aree del bacino del mediterraneo; Italia, Grecia, Spagna e alcune aree del Nord Africa. La caratteristica di questa alimentazione è quella di mangiare alcuni cibi più di altri, e di combinarli in un certo modo .La pasta è spesso condita con verdure e al posto del burro si preferisce l’olio di oliva. Non ultima è diffusa l’abitudine di accompagnare il pasto con uno o due bicchieri di vino in particolare rosso. Voglio far notare che recentemente è stata introdotta nella piramide alimentare la convivialità, elemento tipico e distintivo che hanno molte popolazioni mediterranee nella attitudine alla dieta mediterranea.e nei confronti del cibo. In questo aspetto come nella abitudine a preferire alcuni cibi, il piemontese non è molto differente dal siciliano . Molti nostri studi confermano questo: la adesione al modello mediterraneo che è sostanzialmente uguale in tutte le aree del paese.

La crisi economica ha influito sula dieta mediterranea e ha ancora senso parlare della stessa?

E’ vero la crisi economica ha accentuato le diseguaglianze in tanti settori, ed è all'origine anche di diversità alimentari. Dal 2007 è iniziata una differente adesione alimentare. Sembra un paradosso ma ai tempi di Keys, lo scienziato americano che negli anni 50’ aveva studiato il regime alimentare di diverse aree del Sud , l’allora dieta  era identificata come povera, tipica dei contadini, di coloro che avevano poco su cui contare. Oggi le cose sono cambiare e sono i benestanti a poter seguire una alimentazione sana. Sempre da un nostro studio economico un pasto per quattro persone di pasta, verdura, carne e frutta è improponibile perché facilmente si raggiungono le 2.400 euro a persona! Purtroppo le calorie a buon mercato sono anche quelle di bassa qualità e quelle che favoriscono l’obesità e il diabete. Se poi -lei mi chiede- ha senso parlare ancora di dieta mediterranea? io le rispondo che invece dobbiamo difenderla e diffonderla essendo il regime che più di ogni altro è in grado di difendere la nostra salute dalle malattie cardiovascolari, dai tumori e molto altro ancora.

Che ruolo ha la carne nella dieta mediterranea?

La carne è posta al vertice della piramide alimentare tra i cibi da consumare con moderazione, una volta la settimana. Più elasticità per la carne bianca, anche due volte la settimana. Questa collocazione segue un principio: nessun alimento è considerato a sé stante, come invece appare nell'elenco stilato recentemente dall'OMS, ma tutti i cibi devono essere considerati nel complesso dell’alimentazione. Ovviamente un consumo eccessivo di carne “ bruciata” sulla brace o conservata in insaccati e ricca di sale, va sconsigliata. 

News: Donatella Cinelli Colombini eletta presidente dell’associazione Le Donne del Vino






Produttrici, enotecarie, sommelier e giornaliste insomma tutte coloro che nel, nostro paese, hanno a cuore la cultura del vino, hanno una nuova presidente: Donatella Cinelli Colombini. Nata in una delle maggiori famiglie produttrici di Brunello di Montalcino, Donatella Cinelli ha creato due importanti appuntamenti:   Cantine Aperte, che si tiene ogni anno nell’ultima domenica di maggio e Calici di Stelle, che si svolge nel mese di Agosto .Inoltre fino al 2001 ha guidato il Movimento Turismo del Vino di cui è  socia fondatrice. Dal 2013 è presidente del Consorzio del vino di Orcia. Tanta esperienza non potrà che aumentare la vivacità della associazione, uno dei sodalizi tra i più attivi del mondo enogastronomico.


sabato 16 gennaio 2016

Cultura: L’azione antisettica del vino: un’esperienza secolare




" E’ indubbio che per le sue oltre quattrocento componenti chimiche, il vino può essere considerato un valido adiuvante dietetico in quanto apportatore di importanti nutrienti all'organismo: stimola la digestione e l’appetito, esercita un’azione rilassante e euforizzante. Non sono stati pochi e ne parleremo a più riprese, i suoi impieghi come medicamento, tra questi l’uso intensivo nel trattamento esterno delle lesioni e delle ferite. 
Nel secolo XIII, il medico chirurgo Lanfranchi, fondatore della Scuola di Chirurgia di Parigi, e il suo discepolo Henri de Mondeville, medico di Filippo IV, ne sostennero l’uso intensivo. Era opinione comune che l’applicazione del vino sulle ferite, oltre a preservare dalle infezioni, ne favorisse il processo di cicatrizzazione e guarigione. Addirittura il chirurgo francese Ambroise Parè autore del famoso “ Metodo di trattare le ferite da archibugio e da altri bastoni da fuoco” ( 1545) adottò il vino cotto in luogo dell’olio bollente per le ferite sui campi di battaglia. Inoltre in assenza di anestetici veri, molto spesso il vino veniva usato come” anestetico generale”, contro il dolore e nel corso di amputazioni, oltre che in piccoli interventi chirurgici. Ma a parte questi sistemi empirici solo nell'Ottocento si ebbero i primi fondamenti scientifici del vino come antisettico, poco dopo la nascita della batteriologia.Nel 1892 si verificò a Parigi una epidemia di colera durante la quale un medico notò che i forti bevitori sopravvivevano di più degli astemi. 
Di questa osservazione ne fece tesoro un medico militare austriaco tale Alois Pick ( noto per aver descritto la febbre da pappataci), il quale fece il seguente esperimento: introdusse alcune colonie di batteri del colera e dell'ileotifo in alcuni matracci contenenti in alternativa: acqua, vino bianco o rosso, oppure vino diluito per metà con acqua. Il risultato fu che mentre tutti i batteri sopravvivevano nell'acqua semplice, i vibrioni del colera dopo 10-15 minuti morivano nel vino puro e in quello diluito, e quelli dell'ileotifo dopo 24 ore. Pick ne concluse che anche il vino diluito esplica un effetto battericida. Da quel momento si pensò che l’azione “ assassina” fosse dovuta all'alcool. Bisognerà aspettare il 1950 quando quando J Montesquie, professore di farmacologia alle facoltà di Medicina e Farmacia dell’Università di Bordeaux, riprendendo questi esperimenti scoprì che il sottogruppo dei polifenoli detto delle “antocianine”, in particolare la malvoside distrugge i batteri ancor più della penicillina. Dimostrò inoltre che il vino diluito con acqua in rapporto di 1:4 mostra- dopo 15 minuti- un potere antibiotico pari pari a quello di 5U. di penicillina/ml. Per di più il vino diluito anche a livello del 2% mostra ancora una qualche proprietà batterica. "


Da “ Il vino come farmaco” di Luciano Sterpellone Antonio delfino Editore

Ricerca: Per gli inglesi il vino rosso fa male!





“ Anche lavorare fa male alla salute”. Graziano 

“Ieri si. Oggi no. Domani dipende da che punto guardi il mondo” Paolo 

“ Una tazza di the ai pasti.. si sposa bene con un salmi di capriolo, o un bello stufato..” Fracco






Eccoli alcuni dei commenti a caldo sulla ricerca inglese firmata Sally Davies. Certo la sterzata a tutto tondo sulle proprietà i del vino rosso  che non sarebbero salutari,lascia perplessi. La nota ricercatrice, niente meno è Chief  Medical Officier non contenta di aver distrutto  questo nobile prodotto della natura, precisa che il tanto sbandierato bicchiere di vino al giorno, è solo una vecchia convinzione priva di qualsiasi  validità scientifica. Il che suona come una bocciatura sonora ai tanti studi effettuati negli ultimi anni sul rapporto vino e salute.” A me piace un bicchiere di vino rosso”, ha detto in una intervista al programma televisivo” Good Morning Britain”, ma penso che si più opportuno bere una tazza di thé e riservare il vino alle occasioni speciali. Ogni anno- prosegue la Davies- muoiono di cancro 20 mila persone per il consumo eccessivo di alcool così come per obesità  e diabete”. In base ai suoi studi su un campione di 1000 donne non bevitrici, 106 hanno sviluppato un cancro al seno, percentuale che sale a 126 per coloro che bevono 14 o meno unità a settimana e a 153 per quelle che bevono 14 o più unità. Da tenere presente che 14 unità alcoliche corrispondono a 7 calici di vino rosso, o a 7 pinte di birra di 4°. Rimanere sotto le 14 unità alcoliche a settimana significa che i rischi sono bassi. Per tutti: uomini e donne. La ricerca infatti elimina le differenze di genere e invita all’astensione totale dall’alcool come l’OMS.  
Ma è questa la strada giusta per ridurre i danni dall'alcool e rendere consapevole la sua assunzione. Insomma servono le campagne anti-alcool? Vino e alcolici sono bevande il cui consumo da parte di una piccola percentuale di popolazione, è eccessivo .In questo caso possiamo  parlare di dipendenza, mentre la gran parte delle persone beve in modo assolutamente moderato senza eccessi e senza alcuna caratteristica di dipendenza dall'alcool. Ma quali potrebbero essere le conseguenze di tutte le campagne con forti accenti antiproibizionisti e cioè assunzione zero di alcool nella dieta? Facile ad immaginarsi: chi è dipendente continuerà a ricercare l’alcool perché la sua è una dipendenza assolutamente consapevole dei rischi e dei danni  e non ha importanza se gli avvertimenti arrivano da un medico. Chi beve con moderazione smetterà di farlo in quanto non è dipendente. Risultato: gran parte dei consumi in eccesso rimarranno invariati, mentre i vantaggi del bere moderato si perderanno in  percentuale più o meno maggiore. Ma invece di tanto accanimento non sarebbe meglio educare la popolazione a conoscere il vino e le bevande alcoliche e quindi ad assumere le giuste dosi.
” Fa male ciò che non si conosce”: lo dicono autorevoli esperti, non la sottoscritta!




Cultura. Sesso e bagno al vino: licenzioso ma interessante...





 "  Ancora non molto tempo fa, al Sud, il parto si faceva con l’olio. “ Tutti i provenzali della  mia età”, scrive il poeta e scrittore Marcel Scipion nella sua opera L’arbre du mensogne, “ sono venuti al mondo tra le mani unte delle levatrici di campagna”. Spesso inoltre, nelle regioni vinicole, a questa unzione con l’olio faceva seguito un bagno nel vino. Lubrificato il neonato , conveniva impregnarlo, fortificarlo, fargli prendere un bel  colorito rosso. Nato nell'olio e arrossato nel vino, in tal modo gli veniva assicurata una vita sempre vivace in ogni stagione.
Ma questo bagno nel vino, nutriente per l’anima, appare anche in altre circostanze della vita, senza che vi sia affatto necessità di fare appello alle antiche virtù. Nelle pagine di Restif de la Bretonne, celebre autore settecentesco delle ”delizie dell’Amore”, ci si lava molto. Ci si lava sistematicamente. Prima o dopo il coito. Tutt'altra cosa rispetto a Sade. Si mette a bagno culo, fica, coscia, piede, si fanno abluzioni, si fa il bidet, con l’acqua fredda, con l’acqua tiepida, si lava il culo in un grande bacile per rassodarlo, si lava all'acqua di rose, si immerge poi nel latte, si asciuga ed ecco che membro e vulva sono pronti per nuove prodezze. Accade, anche senza dubbio per dargli più vivacità, di bagnare lo strumento con lo Champagne.” Abbiamo cercato un tu per tu”, scrive Restif “ Dopo che i domestici sono stati congedati, egli mi ha fatto mettere a nudo le poppe, poi mi ha inebriata di Champagne. Si è lavato la verga in un bicchiere spumeggiante e io l’ho trangugiato all'istante!..Il membro ne guadagna un non so che di frizzante e di fresco, il culo si trasforma in principio effervescente e se ne ricavano grandi speranze.
Papa Paolo III in persona, si dice era uso a tale espediente. L’uomo autore della famosa bolla” In Cena Domini”( 1536), l’ispiratore del Concilio di Trento, colui che  approvò nel 1540 la costituzione dell’Ordine dei Gesuiti, il mecenate che affidò a Michelangelo l’esecuzione degli affreschi della Cappella Sistina e la cui giovinezza ispirò a Stendhal il personaggio di Fabrizio del Dongo, Paolo III dunque amava a al punto il vino di Creta da bagnarvisi i genitali ogni mattina. Ci si potrà stupire di questa abitudine. Serviva a rinfrescarli o a scaldarli? Sante Lanceri non ci dice nulla in proposito. E perché, diavolo un vino di Creta? Il fatto è che in quell'epoca, in cui si apprezzavano sommamente i vini giovani, si aveva un debole anche per i vini moscati di Cipro, di Creta, di Malvasia o di Malaga che venivano conservati per anni in caratelli o in bottiglie  con il tappo di vetro smerigliato. E forse si potrebbe dire che i genitali papali invocavano a gran voce i più grandi vini dal profumo ammaliante e dal colore mielato. A meno che Papa Paolo III non abbia applicato alla lettera i consigli del medico olandese Levinus Lemnius ( 1505-1568) che consigliava nei suoi” De occultis naturae” , a chi si era lasciato prendere dall'ebbrezza, di mettere a mollo nel vino le mammelle per le donne e i genitali per gli uomini, in modo da aspettarsi miracoli. Applicazione locale che doveva diffondersi in tutto il corpo e irraggiare fino al cervello. Ma tale trattamento fu in seguito accantonato, probabilmente perché fortificava in modo esagerato l’organo del peccato e conduceva a scappatelle ancora più reprensibili.  "


tratto da “ Eros&Vino” di Jean-Luc Henning, Sonzogno Editore

Cultura: Zero alcool in gravidanza, le linee guida dell'ISS. Ricordiamole





Anche in piccolissime dosi l’alcool assunto in gravidanza può avere rischi per il nascituro. Lo dimostra l’ultimo studio scientifico italo-spagnolo sulla sindrome feto-alcolica, diretto dalla dott. ssa Simona Pichini dell’ISS e in pubblicazione su Clinical Chemistry and Laboratory Medicine. Lo studio condotto su 168 coppie mamma-neonato (dell’Hospital del mar di Barcellona) dimostra che quantità modeste di alcol consumate durante tutta la gravidanza sono rilevabili sia nel capello materno che nelle prime feci (meconio) neonatali. Pertanto anche bevendo poco ma spesso, il feto è esposto all’alcool materno. 

Di seguito le principali indicazioni dell'Istituto Superiore di Sanità:

- consumare bevande alcoliche in gravidanza aumenta il rischio di danni alla salute del bambino
- durante la gravidanza non esistono quantità di alcol che possano essere considerate sicure o prive di rischio per il feto
- il consumo di qualunque bevanda alcolica in gravidanza nuoce al feto senza differenze di tipo o gradazione 
- l'alcool è una sostanza tossica in grado di passare la placenta e raggiungere il feto alle stesse concentrazioni di quelle della madre
- il feto non ha la capacità di metabolizzare l’alcol che quindi nuoce direttamente alle cellule cerebrali e ai tessuti degli organi in formazione
- l’alcol nuoce al feto soprattutto durante le prime settimane e nell’ultimo trimestre di gravidanza
- se si pianifica una gravidanza è opportuno non bere alcolici e si è già in gravidanza è opportuno interromperne l’assunzione sino alla nascita
- è opportuno non consumare bevande alcooliche durante l’allattamento
- i danni causati dall’esposizione prenatale dall’alcool, e conseguentemente manifestati nel bambino, sono irreversibili e non curabili
- si possono prevenire i danni e i difetti al bambino causati dal consumo di alcol in gravidanza, evitando di consumare bevande alcoliche.

News: Mirtillo, vino, agrumi e tanto sport.. per combattere la disfunzione erettile.



 Si allontana il rischio di ricorrere alla pillola blu? Forse si ,almeno secondo una ricerca realizzata dalla Università di Harvard e pubblicata sula rivista dell’American Journal Clinical Nutrition.  Benedette ricerche, prendiamole per buone: gli alimenti ricchi di flavonoidi come i frutti di bosco, le ciliegie e il vino rosso associati allo sport aiutano a conservare la virilità per lungo tempo e  addirittura  a ridurre del 10% la disfunzione erettile. Percentuale che sale al 14% con un consumo elevato di frutta rossa. Aggiungendo sport praticato regolarmente, il rischio si abbassa del 21%. La dieta è raccomandata agli  “under 70” “ non solo per il beneficio sessuale- dice Eric Rimm dell’Università di Harvard- ma soprattutto per un migliore benessere generale psico-fisico”.

venerdì 8 gennaio 2016

Ricerche. Viti Ogm: ancora in alto mare


“ Si alla ricerca,  in  questa battaglia siamo a fianco degli agricoltori”  
Maurizio Martina, Ministro per le Politiche Agricole

“ Caldo e parassiti, per le viti il futuro è nelle nuove tecnologie..” 
Angelo Gaja, viticoltore del  Barbaresco

“ Cambiare la legislazione vigente significa fare sperimentazione in campo aperto..” 
Michele Morgante   direttore scientifico dell’Istituto Genomica Applicata di Udine






Abbiamo scelto queste dichiarazioni di tre opinion leader perché riteniamo rappresentino le diverse sfaccettature di uno  stesso problema: come  rendere attuabile la ricerca genetica nel nostro paese per migliorare le performans delle viti italiane sottoposte all’assalto di malattie e cambiamenti di clima, “senza alterare – dice il Ministro Martina-le caratterizzazioni produttive del nostro sistema agroalimentare e  la biodiversità grande patrimonio della vitivinicoltura italiana”. Ricerche quindi, che siano sostenibili in quantità e qualità , che tengano conto  di un paese ad alta fragilità e diversificazione ambientale e anche  di una cultura molto legata alle tradizioni.  Allora? Partiamo anche qui da tre parole:
TRANSEGENESI: Trasferimento di geni tra specie diverse
CISGENESI:  trasferimento di geni dalla stessa specie
GENOMA  EDITING: tecnica che permette di cambiare le basi del DNA

Ma quale è la situazione?

Da  decenni i nostri formaggi sono fatti con piante Ogm coltivate all'estero e nessuno ha mai avuto nulla da dire. Per il vino si è scatenato il finimondo  da quando un noto viticoltore del barbaresco Angelo Gaja ha chiesto che fosse “autorizzata” la ricerca pubblica di sperimentazioni sul campo di  miglioramento genetico per le viti.   Gli scienziati fanno ricerche sul miglioramento genetico per rendere più forti le piante e per abbattere l’uso di fungicidi, ossido di rame tossico anche per l’uomo. Gli imprenditori specie del Nord sono preoccupati di perdere piante attaccate da oidio e peronospora ma il decisore politico cosa fa? Per chiarezza ricordiamo che l’Italia non è Ogm free e quindi   per la transgenesi (nel caso delle viti innesti di geni provenienti da viti selvatiche in grado di ridurre del 90% i trattamenti annui con metalli pesanti)   questa tecnica considerata OGM non vi è alcuna apertura. Invece per la cisgenesi e per  il genoma Editing, le aperture sono ampiamente dichiarate anche dal Ministro Martina. Ma le innovazioni genetiche valgono solo se possono essere effettuate in campo aperto come in altri paesi europei e se non cambia la legge vigente che considera la cisgenesi una tecnica OGM quindi assolutamente vietata. L’Europa è chiamata a legiferare perché molti paesi CEE hanno gli stessi nostri problemi. D’altro canto ognuno deve fare la sua parte: i politici nel cambiare le leggi e favorire produttività, i ricercatori a fare  innovazione tecnologica e i produttori a essere meno oscurantisti: chi sa fare il vino lo produce anche con tecniche che combattono peronospora e oidio. E’ meglio inondare al 60% le viti di fungicidi , accettare che oidio( la più temuta, grave e diffusa tra le malattie parassitarie) e peronospora devastino intere culture specie al nord del paese, riempirsi la bocca di vini naturali , biologici, dinamici o fare “sistema” con la ricerca come ogni buona azienda che si rispetti?  


Di seguito la nostra intervista con Michele Morgante, Direttore Scientifico Istituto Genomica Applicata Udine .


Quali ricerche avete effettuato fino ad ora per la realizzazione di viti resistenti?
 Con la tecnica degli incroci, abbiamo prodotto qui ad Udine 10 varietà di viti( vini da tavola o Igp) resistenti  in particolare allo oidio e peronospera. Questa ricerca rientra in un programma durato 15 anni  nell’ambito del quale abbiamo realizzato, attraverso incroci e selezioni , viti nuove e resistenti anche se abbiamo utilizzato il gene del Sauvignon o del Merlot e altri, con indubbi vantaggi e svantaggi.
Quali?
Vantaggi perché abbiamo ottenuto viti resistenti alle malattie. Tenga conto che in tutto il territorio europeo solo il 3 % è coltivato a viti con un utilizzo al 60 % di fungicidi.  Svantaggi perché essendo il mondo vitivinicolo molto conservatore  è poco aperto a novità di questo tipo. Inoltre queste selezioni non vanno bene per i DOC  quindi in zone di grandi vini come il barolo, l’amarone, il brunello  a meno che non siamo autorizzati a fare sperimentazioni in campo aperto.
Una via d’uscita?
Con la cisgenesi o trasferimento di un gene della stessa specie si potrebbero ottenere chiamiamole super viti, accorciare i tempi lunghi necessari agli incroci,( 15 anni sono un tempo inaccettabile) e non perdere quel patrimonio tanto importante per il nostro pese che è la biodiversità
Ostacoli allora?
  Primo: i costi perché questa ricerca che deve essere fatta sul campo ha bisogno di investimenti che noi Enti Pubblici non abbiamo anche perché- come tutte le ricerche- il rischio di un fallimento è sempre possibile. Secondo : cambiare la legislazione vigente che  di fatto impedisce la cisgenesi equiparandola a una tecnica transgenica. La crisi delle viti, le malattie, i funghicidi sono un problema europeo derivante dal forte cambiamento climatico e dalla alta piovosità. In zone come il Sud d’Italia o la California con piogge infrequenti e clima secco, questa situazione è meno sentita.  Siamo onestamente in alto mare: la ricerca ristagna, i politici prevedono tempi lunghi e la capricciosità del clima decide per tutti. Una svolta? Forse a Marzo del 2016 quando dovrà essere ridiscussa la legislazione vigente che speriamo sarà più morbida per il” ricollocamento” dei geni delle nostre viti.


Ricerche. Nuove tecniche di miglioramento genetico: Il documento EASAC (European Academies' Science Advisory Council)







Sintesi 

Grazie ai progressi compiuti nelle ricerche genomiche, stanno emergendo rapidamente nuove tecniche per il miglioramento dei raccolti. Queste consentono di apportare cambiamenti precisi, mirati e prevedibili al genoma (pertanto si tratta di modifiche diverse rispetto a quelle, meno recenti, realizzate negli organismi geneticamente modificati, OGM). Le nuove tecniche rappresentano un potenziale significativo per l'intensificazione sostenibile dell'agricoltura e per la sicurezza alimentare, e vanno considerate come una tra le varie strategie disponibili in combinazione con quelle che sono definite "buone pratiche agronomiche". A differenza delle mutagenesi indotte da sostanze chimiche o da radiazioni, tradizionalmente utilizzate per migliorare le colture, le nuove tecniche di miglioramento genetico non comportano mutazioni multiple, ignote o impreviste del genoma. Nel caso di molte di queste nuove tecniche, la pianta che ne risulta non contiene geni estranei alla specie originaria e non sarebbe distinguibile dal prodotto generato utilizzando tecniche tradizionali di miglioramento genetico. Ciò induce a riesaminare cosa si intenda per modifica genetica e pone l'esigenza di aggiornare i quadri normativi vigenti. 
L'EASAC auspica quanto segue: 
• Lo sviluppo di politiche dell'Unione Europea (UE) a favore dell'innovazione agricola dovrebbe essere trasparente, proporzionato e pienamente coerente alle evidenze scientifiche 
• È il momento di risolvere le attuali ambiguità legislative. Chiediamo agli organismi di regolamentazione dell'UE di confermare che i prodotti ottenuti grazie alle nuove tecniche di miglioramento genetico, se privi di DNA estraneo, non rientrino nell'ambito della legislazione sugli OGM
• Lo scopo che l'UE deve perseguire è regolamentare i caratteri agronomici specifici e/o il prodotto, non la tecnologia. 
• La Commissione Europea e gli Stati Membri dovrebbero intervenire concretamente per sostenere la ricerca fondamentale sulle piante e proteggere le prove in campo delle nuove colture. 
• Aggiornare i quadri normativi della UE aiuterebbe ad affrontare le implicazioni della scarsa connessione esistente a livello regionale e globale riguardo le politiche di supporto alla scienza e l'innovazione. 
Nel contempo, è necessario un impegno generale riguardo gli aspetti critici, compreso il riesame dell'uso appropriato del principio di precauzione. 

Introduzione 
L'agricoltura continua ad affrontare sfide complesse per raggiungere la sicurezza alimentare e nutrizionale in un periodo di crescenti pressioni derivanti dalle ingiustizie sociali ed economiche, dall'instabilità, dalla crescita demografica, dai cambiamenti climatici e dall'esigenza di evitare ulteriori perdite di biodiversità degli ecosistemi. Una produzione alimentare maggiore e più sostenibile richiede di sviluppare colture più efficienti nell'uso di risorse limitate. Come già illustrato dettagliatamente negli studi precedenti condotti dall'EASAC (2004, 2011, 2013, 2014), l'innovazione in agricoltura può trarre giovamento dai progressi ottenuti grazie alla ricerca nell'ambito della genomica funzionale. Il miglioramento genetico delle colture può contribuire a rendere ottimale l'utilizzo e l'efficienza delle risorse agricole (incentivando metodi di agricoltura sostenibile per prevenire l'erosione del suolo, le carenze idriche e l'inquinamento delle acque), la resa delle coltivazioni, la resistenza alle malattie, nonché a migliorare le caratteristiche dei prodotti, quali il valore nutrizionale, la conservabilità o le proprietà di trasformazione. 
Pertanto, l'applicazione delle tecnologie di miglioramento genetico alle colture con lo scopo di intensificare l'agricoltura in maniera sostenibile dovrebbe essere una componente integrale di tutti gli approcci disponibili, tradizionali o innovativi, sviluppati a partire dai risultati delle buone pratiche agronomiche. Studi precedenti dell'EASAC (2013), hanno esaminato il valore, presente e futuro, delle colture modificate geneticamente (GM - nelle quali il materiale genetico è modificato secondo modalità che non si verificano durante la fecondazione e/o la ricombinazione naturale) nonché i problemi da risolvere per utilizzare al meglio le ricerche condotte a livello mondiale. Inoltre, l'ESAC ha evidenziato l'enorme importanza di applicare nei programmi di selezione altre tecniche molecolari più recenti, rese possibili grazie ai progressi delle biotecnologie. Questo insieme di nuove tecniche sta rapidamente evolvendo e, per alcune di esse, il prodotto risultante è esente da geni estranei alla specie oggetto di modifica. Ne deriva l'esigenza di aggiornare le regolamentazioni: in alcuni casi non sarebbe infatti possibile distinguere il prodotto ottenuto rispetto un altro prodotto generato con tecniche tradizionali di miglioramento genetico. È necessario pertanto riconsiderare il significato dell'espressione "modifica genetica"
Dopo la pubblicazione del rapporto EASAC nel 2013, altre organizzazioni e istituzioni si sono occupate delle nuove tecniche di miglioramento genetico. Fra queste prese di posizione, si possono annoverare: 
1. Le comunicazioni della Accademia Nazionale Tedesca delle Scienze "Leopoldina" assieme all'Accademia Tedesca di Scienza e Ingegneria (Acatech) e all'Unione delle Accademie Tedesche delle Scienze e degli Studi Umanistici (Leopoldina et al., 2015). 
2. Un documento del Consiglio di Ricerca per le Scienze Biologiche e per la Biotecnologia del Regno Unito (BBSRC, 2014), nonché una relazione parlamentare eseguita dalla Commissione per la Scienza e la Tecnologia della House of Commons che approfondisce queste tematiche (House of Commons, 2015.
3. Una lettera del Governo olandese indirizzata alla Commissione Europea alla fine del 2013, che raccomanda l'esclusione della cisgenesi dal campo di applicazione dei regolamenti UE in materia di OGM. 
4. A livello di UE, un documento dell'European Plant Science Organization (EPSO, 2015). 
5. Da parte dell'OCSE, un documento concernente la valutazione del rischio ambientale. 
6. Documenti prodotti in altre regioni del mondo; ad esempio, il comitato scientifico organizzato dalla Food Standards Australia New Zealand ha elaborato un parere per chiarire quali alimenti ottenuti grazie alle nuove tecniche di miglioramento genetico dovrebbero essere considerati GM (FSANZ, 2014). 

Nel complesso, questi recenti documenti mostrano il valore potenziale delle nuove tecniche e l'assenza di nuove problematiche riguardo gli aspetti di sicurezza. Tuttavia, per l'UE tali documenti hanno rafforzato le preoccupazioni espresse dall'EASAC nel 2013 riguardo l'innovazione: mancano certezze giuridiche e la possibilità di eccessi normativi può comportare che l'UE non riesca ad utilizzate al meglio per l'agricoltura il potenziale delle nuove tecniche. Nel contempo, alcune organizzazioni ambientaliste non governative hanno esercitato pressioni (Panela et al., 2015) per applicare regole UE molto rigide a queste nuove tecniche, considerandole alla stregua della transgenesi (cioè delle tecniche per la produzione di piante GM) per quanto riguarda i loro aspetti di ingegneria genetica. 
La presente Dichiarazione dell'EASAC ha lo scopo di prendere in considerazione le evidenze pubblicate di recente e le raccomandazioni che si riferiscono alle nuove tecniche di miglioramento genetico, per rivedere ed ampliare i nostri interventi nei confronti dei decisori politici nelle istituzioni UE e negli Stati Membri. Le raccomandazioni qui esposte non entrano nel merito della questione delle colture GM, anche se potrebbero esserci aspetti comuni a tutte le tecnologie dedicate al miglioramento genetico dei raccolti. Inoltre, le conclusioni del nostro lavoro precedente riguardo le coltivazioni GM (2013) non sono cambiate. Quali sono le nuove tecniche di miglioramento genetico e cosa riescono ad ottenere? Come già argomentato nel documento precedente (EASAC 2013), le nuove tecniche di miglioramento genetico possono essere utilizzate per generare nuove varietà di piante in maniera più precisa ed efficace. Le prime realizzazioni. Esempi di applicazioni delle nuove tecniche di miglioramento genetico Colza tollerante i diserbanti L'azienda Cibus ha impiegato la tecnologia del gene editing per un prodotto nel quale non viene inserito materiale genetico estraneo (Anon, 2015). Questa coltura commerciale è stata generata utilizzando genome editing, è coltivata negli USA dalla primavera del 2015 e ha ottenuto in Canada l'autorizzazione per la coltivazione. Le autorità tedesche hanno dichiarato di non considerare i prodotti ottenuti tramite il gene editing come GM bensì come i prodotti ottenuti con tecniche tradizionali, aggiungendo tuttavia che tale giudizio potrebbe cambiare se la Commissione Europea dovesse prendere decisioni diverse. Patate soggette a minore imbrunimento e che generano meno acrilammide.
Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) e la Food and Drug Administration (FDA) hanno approvato una varietà di patata sviluppata dalla società Simplot che non contiene DNA considerato estraneo (sono state trasferite sequenze di DNA da patate selvatiche sessualmente compatibili) e impiega la tecnologia dell'RNA interference per ridurre il livello di alcuni enzimi, fra cui polifenolo ossidasi, responsabile dell'imbrunimento delle patate una volta spelate o tagliate. Inoltre, grazie ad una riduzione del livello dell'aminoacido aspargina e degli zuccheri riducenti, ad alte temperature di cottura questa patata genera quantità minori di acrilammide, un metabolita potenzialmente cancerogeno, rispetto le patate comuni (Waltz, 2015). Applicazioni del genome editing.
Una recente rassegna della letteratura (Araki e Ishii, 2015) esamina le ricerche condotte sulle principali colture (inclusi orzo, mais, riso, soia, arancio dolce, pomodoro, frumento). In particolare sono analizzati gli studi sulle possibili mutazioni aggiuntive non volute (le cosiddette mutazioni offtarget). Tra i progressi più recenti nel genome editing citiamo lo sviluppo di un frumento resistente all'oidio e una linea di mais che contiene livelli più bassi di fitato (Jones, 2015). 
Le nuove tecniche di miglioramento genetico descritte in precedenza da EASAC includono: 
 Cisgenesi: trasferimento di uno o più geni nell'ambito della stessa specie o specie affini. 
 Intragenesi: inserimento di sequenze codificanti riorganizzate derivate dalla stessa specie o da specie affini. 
 Mutagenesi mirata: mediata, ad esempio, da nucleasi di tipo zinc finger o TALEN (transcription activator-like effector nuclease). 
 Introduzione transitoria di DNA ricombinante, ad esempio mutagenesi indotta da oligonucleotidi e agro-infiltrazione. 
 Altre tecniche innovative: ad esempio, silenziamento genico mediante metilazione del DNA indotta da RNA, reverse breeding, innesto di nesti non-GM su portainnesti GM. Inoltre, più recentemente (vedi ad esempio Jones, 2015) è emerso con chiarezza che un contributo sempre maggiore e tecnologicamente preciso sarà portato da altre tecniche di editing del genoma utilizzate per inserimenti o delezioni mirate, forse in particolare dalla tecnica CRISPRCas9 (clustered regularly interspersed short palindromic repeats - Crispr-associated protein 9). 
Non entreremo nel merito dei dettagli tecnici di tali metodologie, che possono essere trovati ad esempio nelle pubblicazioni di Podevin et al., (2012), dell'Advisory Committee on Releases to the Environment del Regno Unito (ACRE, 2013), del BBSRC (2014), e dell'Accademia Leopoldina (2015), ma desideriamo evidenziare e riassumere alcune delle principali implicazioni, come segue: 
• Grazie al ritmo incalzante dei progressi compiuti nel sequenziamento e nella caratterizzazione delle funzioni geniche delle piante, le nuove tecniche di miglioramento genetico consentono di realizzare cambiamenti mirati più precisi ed affidabili sul genoma attraverso aggiunte, delezioni o sostituzione del DNA in siti specifici. 
• Rischi e benefici delle nuove piante prodotte sono determinati dai cambiamenti introdotti, e non dal metodo utilizzato per introdurli. 
• A differenza della mutagenesi chimica o indotta da radiazioni, spesso utilizzata come base per migliorare le colture, le nuove tecniche di miglioramento genetico sono meno soggette a causare mutazioni multiple, non note e non volute all'interno del genoma. A differenza dai metodi GM, molte delle nuove tecniche di miglioramento genetico non comportano l'inserimento di DNA estraneo. 
• Pertanto, in alcuni casi i risultati delle nuove tecniche non possono essere distinti dai cambiamenti del DNA ottenuti con tecniche tradizionali di miglioramento genetico, i cui prodotti possono essere immessi sul mercato senza previa autorizzazione. 
Se si utilizzano approcci epigenetici (che modificano l'espressione dei geni), le sequenze nucleotidiche del DNA rimangono addirittura completamente inalterate. Non sarà dunque possibile discernere il metodo utilizzato per produrre la nuova varietà di pianta. Regolamentazione nell'UE e Innovazione Il gruppo di lavoro di esperti "New Techniques" dei Paesi Membri dell'UE (Podevin et al., 2012) ha chiarito e documentato i casi in cui le nuove tecniche di miglioramento genetico non rientrano nel campo di applicazione della legislazione che riguarda gli OGM, giungendo a concludere che la definizione giuridica di un organismo modificato geneticamente non è applicabile per gran parte delle nuove tecniche di miglioramento genetico. Tale valutazione è in linea con altre analisi (vedi, ad esempio, ACRE, 2013). 
Di conseguenza, queste tecniche o rientrano nell'ambito delle eccezioni già disciplinate dalla legislazione vigente oppure dovrebbero essere costituite come eccezioni, dato che i prodotti che ne derivano non presentano differenze rispetto alle piante ottenute grazie alle tecniche di miglioramento genetico tradizionali (EPSO, 2015). Tuttavia, attualmente nell'UE esistono confusione e opinioni controverse circa le modalità da seguire per regolamentare queste innovazioni tecnologiche: fintantochè non sarà fatta chiarezza, la ricerca in questo campo e le sue applicazioni saranno ostacolate. Le autorità USA hanno già stabilito che le varietà di colture generate tramite l'editing del genoma non sono OGM (Jones, 2015)3 . I costi di registrazione UE per una nuova variante di pianta, in termini di tempo e denaro, sono solitamente modesti se questa è classificata non-OGM, ma elevati per un prodotto classificato come OGM. Questa differenza è particolarmente importante per le imprese piccole e medie e per i ricercatori operanti nel settore pubblico, che dispongono di risorse limitate: la classificazione come OGM limiterebbe le applicazioni alle colture di elevato valore economico. Sarebbe grave se i "costi di ingresso" per le nuove tecniche fossero sostenibili soltanto per le grandi multinazionali interessate a vendere i loro prodotti sui mercati globali. Nel complesso, la legislazione UE non ha tenuto il passo nè con i progressi raggiunti dalla genetica agraria nè con le numerose evidenze che si vanno accumulando e che dimostrano come a livello globale le nuove tecniche abbiano ripercussioni socio-economiche positive e siano sicure. 
Specificamente per le nuove tecniche di miglioramento genetico, ribadiamo e ampliamo le conclusioni raggiunte nei precedenti lavori EASAC
• Politiche basate sull'evidenza: è vitale che la posizione legislativa UE sia pienamente informata di ogni progresso nelle evidenze scientifiche e nell'esperienza globale, e che i processi decisionali sulla vigilanza normativa siano trasparenti. 
• Certezza giuridica: sarebbe il momento di risolvere le questioni che creano incertezze a chi si occupa di ricerca, di miglioramento genetico e di agricoltura. 

Chiediamo ai legislatori UE di confermare che i prodotti delle nuove tecniche di miglioramento genetico, se non contengono DNA estraneo, non rientrino nel campo di applicazione della legislazione OGM, in linea con i pareri del gruppo di lavoro di esperti "New Techniques" (Podevin et al., 2012) e altri gruppi di esperti (ad esempio ACRE, 2013). 
• Regolamentare il carattere e/o il prodotto: le regolamentazioni in ambito agricolo devono essere proporzionate, e l'EASAC raccomanda di regolamentare la caratteristica e/o il prodotto e non la tecnologia: in sostanza, la valutazione dei rischi dovrebbe essere basata innanzitutto sulla specifica caratterizzazione scientifica delle nuove piante, qualunque sia il metodo utilizzato per ottenerle, e non in base al metodo stesso. Già altrove e in varie forme sono stati adottati tali approcci basati sui caratteri e/o i prodotti: ad esempio in Canada, Argentina e negli USA (Araki e Ishii, 2015). Un sistema normativo di questo tipo comporterebbe un ulteriore vantaggio, in quanto centrerebbe la discussione sulle caratteristiche prioritarie per l'agricoltura. (BBSRC, 2014). 
• Sostegno alla ricerca fondamentale: riformare il quadro normativo UE richiede chiarezza e coerenza nel definire in che cosa consista una nuova caratteristiche di una pianta (EPSO, 2015). È inoltre sempre di grande importanza perseguire la ricerca fondamentale, al fine di identificare ulteriori strumenti per nuove tecniche di miglioramento genetico e garantire una loro completa caratterizzazione riguardo gli effetti complessivi sulle cellule vegetali. 
• Sostegno alla sperimentazione: la valutazione di rischi e benefici delle nuove varianti di colture eseguita con esperimenti in laboratorio e in prove di campo dovrebbe essere sostenuta dagli Stati Membri, vale a dire essere protetta da vandalismi e danneggiamenti (Leopoldina et al., 2015). 
• Implicazioni della rinazionalizzazione (decentramento amministrativivo) dei meccanismi di approvazione: l'EASAC riconosce che le recenti decisioni adottate dalla Commissione Europea, il Parlamento e il Consiglio dei Ministri, volte ad autorizzare gli Stati Membri a vietare o limitare per motivi non-scientifici coltivazioni sul proprio territorio di prodotti che sono stati ottenuti con le biotecnologie agricole e approvati dalla Commissione Europea, hanno per certi versi introdotto una certa flessibilità. Ciò non implica tuttavia che gli Stati Membri debbano prendere decisioni autonome per stabilire in cosa consistono le nuove tecniche di miglioramento genetico. 
È ora importante aggiornare il sistema di regolamentazione della Commissione Europea, in modo che gli Stati Membri possano prendere le proprie decisioni politiche riguardo i prodotti caratterizzati e valutati dagli organismi di regolamentazione UE in base alla migliore evidenza scientifica disponibile. 
• Impatto delle decisioni politiche UE: se queste riforme non verranno realizzate, l'UE verosimilmente perderà sempre più terreno rispetto ad altre regioni quanto allo sviluppo e all'utilizzo delle nuove tecniche di miglioramento genetico. In questa eventualità, l'UE faticherà ad esprimere le proprie potenzialità per contribuire alla ricerca e all'innovazione globale in materia di sicurezza alimentare e nutrizionale. Tutto ciò comporta altre implicazioni negative: per il vigore della base scientifica UE (che è stata protagonista in gran parte delle ricerche pionieristiche nel settore delle tecniche di miglioramento genetico); per la carriera dei ricercatori e di chi si occupa di miglioramento genetico; per la competitività e la bioeconomia basata sulla conoscenza; per il commercio internazionale; infine per la partecipazione UE ai programmi di ricerca internazionale (Leopoldina et al., 2015). Ci potrebbe anche essere un ulteriore impatto negativo sull'innovazione nei paesi in via di sviluppo (EASAC, 2013), che sono preoccupati per i propri mercati di esportazione o sono propensi a guardare all'UE per il ruolo trainante che assume in materia di ricerca e sviluppo. 
• Esigenza di impegno continuo sulle criticità: i criteri e gli standard per la valutazione dei prodotti agricoli innovativi devono essere sufficientemente robusti per poter far fronte adeguatamente ai progressi scientifici, ai cambiamenti socio-economici e all'esperienza sempre crescente in ambito normativo (Araki e Ishii, 2015). Alcune evidenze suggeriscono che i consumatori nell'UE potrebbero accettare i prodotti cisgenici, preferendoli a quelli transgenici (Delwaide et al., 2015), ma la classe politica dovrebbe costantemente occuparsi di questa materia con impegno proattivo, per capire e valutare le prospettive delle parti interessate, compresi ricercatori, agricoltori, consumatori e industria, esaminando le questioni più importanti, tra cui quelle riguardanti gli aspetti sociali, economici e etici (Palmgren et al., 2015). Tale dibattito deve includere un riesame dell'uso del principio di precauzione (Appendice 1) nonché le modalità da seguire per allineare l'agricoltura agli altri settori economici, e regolamentare in funzione dei caratteri e/o prodotti piuttosto che in base alla tecnologia utilizzata. L'EASAC è pronta e disponibile a mobilitare la comunità scientifica e a utilizzare le proprie reti a livello globale per apportare un contributo alle discussioni in corso su questa materia e per sollecitare interventi concreti. Appendice 1: l'uso del principio di precauzione nella valutazione delle tecnologie di miglioramento genetico delle colture Nella lettera indirizzata al Commissario per la Salute e la Sicurezza Alimentare (Panella et al., 2015), un gruppo di organizzazioni non governative ha chiesto di applicare alle nuove tecniche di miglioramento genetico le legislazioni UE concernenti l'ingegneria genetica, e di continuare a basare tali legislazioni sui principi di precauzione, trasparenza e tracciabilità. Tuttavia, una recente relazione emanata dalla Commissione Scienza e Tecnologia della House of Commons nel Regno Unito (House of Commons, 2015) fornisce un'analisi dettagliata delle applicazioni del principio di precauzione alle tecnologie genetiche volte a migliorare le colture, contestando l'uso continuato di tale principio in quest'ambito. La Commissione Parlamentare cita la Comunicazione della Commissione Europea (Commissione Europea, 2000), dove veniva stabilito che il principio di precauzione copre "quelle specifiche circostanze ove la prova scientifica è insufficiente, inconcludente o incerta, e quando vi sono valutazioni scientifiche preliminari che indicano che esistono ragionevoli fondamenti per temere che effetti potenzialmente pericolosi sulla salute dell'ambiente, dell'uomo, degli animali o delle piante possano non essere garantiti con il livello di protezione adottato". 

La relazione parlamentare britannica concorda che l'approccio di precauzione è adeguato se si verificano le circostanze sopraindicate, ma per le modifiche genetiche trae le seguenti conclusioni
• La prova scientifica non è insufficiente, inconcludente o incerta. 
• La prova scientifica obiettiva indica che ogni possibile rischio nelle colture OGM deriva dalle caratteristiche rilevabili nella nuova pianta e non da un rischio insito nella tecnologia. Nulla indica che esistano ragionevoli fondamenti per temere che questi prodotti possano portare a effetti potenzialmente pericolosi per l'ambiente, la salute umana, degli animali o delle piante. 
• Tutte le legislazioni che contengono il principio di precauzione devono prevedere l'abolizione delle misure di precauzione quando vi sia consenso scientifico che i rischi sono irrisori. Come messo in evidenza nella relazione parlamentare britannica (2015), la Comunicazione della Commissione Europea stabilisce anche che invocare il principio di precauzione non può essere un pretesto per derogare dai principi generali della gestione dei rischi, che sono i seguenti: 
• Proporzionalità: le misure prese non devono essere sproporzionate rispetto al livello di protezione ricercato e non sono intese al conseguimento di un rischio zero. La proporzionalità come principio morale, come guida nel processo decisionale e in relazione al principio di precauzione è discussa in maniera approfondita da Hermeren (2012). 
• Non-discriminazione: le situazioni paragonabili non devono essere trattate in maniera diversa e le situazioni diverse non devono essere trattate allo stesso modo. 
• Coerenza: le nuove misure devono essere coerenti con quelle già prese in situazioni analoghe. 
• Considerazione degli sviluppi scientifici: per riesaminare in modo appropriato le misure di precauzione. 
• Esame dei vantaggi e degli oneri: risultanti dall'azione o dall'inazione, in un'ottica sia economica sia sociale. La relazione parlamentare Britannica (2015) conclude affermando che questi principi riguardo la gestione dei rischi non sono osservati dal regolamento UE concernente le colture GM. L'EASAC teme che un'applicazione inadeguata del principio di precauzione, non coerente con le prescrizioni generali in materia di gestione del rischio, ostacolerà anche l'innovazione derivante dalle nuove tecniche di miglioramento genetico. 

Ringraziamenti 

Questa Dichiarazione è stata preparata da Volker ter Meulen (Presidente del Panel Direttivo sulle Bioscienze, EASAC) e da Robin Fears (Direttore del Programma Bioscienze, EASAC) in consultazione con i membri dell'ex Gruppo di Lavoro dell'EASAC sul progetto "Planting the Future" (http://www.easac.eu/fileadmin/Reports/Planting_the_Future/EASAC_Planting_the_Future_FULL _REPORT.pdf) e del Biosciences Steering Panel (http://www.easac.eu/biosciences/steering-panel.html). La Dichiarazione è stata sottoposta ad un'ulteriore peer review nel corso del processo di approvazione a cura dei membri delle accademie dell'EASAC. EASAC ringrazia tutti coloro i quali hanno contribuito con il loro aiuto e i loro suggerimenti. Note (1) Traduzione del documento "New breeding techniques" pubblicato il 13 luglio 2015 da EASAC - European Academies' Science Advisory Council. La traduzione è a cura della Società Italiana di Genetica Agraria e della Società Italiana di Biologia Vegetale. Il testo della traduzione non è stato rivisto da EASAC. Per l'originale si veda: http://www.easac.eu/home/reports-andstatements/detail-view/article/easac-statem-2.html (2) http://www.fda.gov/NewsEvents/Newsroom/Press/Announcements/ucm439121.htm (3) Una rassegna dettagliata dei quadri normativi vigenti a cura del Dipartimento USA per l'Agricoltura e dell'APHIS (Servizio di Ispezione per la Salute Animale e Vegetale), contenente la valutazione degli strumenti di miglioramento genetico più nuovi, comprese le nucleasi sitospecifiche, la cisgenesi e la transgenesi, viene fornita da Camacho et al., 2014.