mercoledì 25 gennaio 2017

STIPENDI PIÙ BASSI DEGLI UOMINI, POCHI FIGLI E SPESSO VITTIME DEL SESSISMO: ECCO L’IDENTIKIT DELLA DONNA DEL VINO NEGLI ANNI DUEMILA


PRESENTATA A ROMA L’INDAGINE-SONDAGGIO CHE HA COINVOLTO PRODUTTRICI, GIORNALISTE, ENOTECARIE, RISTORATRICI E SOMMELIER DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE GUIDATA DA DONATELLA CINELLI COLOMBINI.








Ricerca: Vino e salute, un rapporto d'amore e di benessere



I dati sono estrapolati dalla recente metanalisi internazionale di NUTRITION FONDATION OF ITALY (NFI)

lunedì 16 gennaio 2017

Ricerca: IL VINO HA UN SEGRETO?


Meglio del DNA è il sapere contadino.

Saccharomyces cerevisiae



Quando si dice che una  supposizione o una scoperta è stata  scientificamente dimostrata  allora si ha raggiunto il TOP, la credibilità è al massimo , l’attendibilità  inattaccabile. A me onestamente fa sorridere che un sapere contadino  e non solo, abbia bisogno della ricerca scientifica per valutarne l’attendibilità.
Ma andiamo per gradi. La notizia è che l’Università di Auckland (Nuova Zelanda) ha per la prima volta dimostrato scientificamente che i lieviti del suolo in cui cresce il vitigno contribuiscono al sapore finale più di quanto si pensasse e non solo dalle condizioni del suolo, dal tipo do clima e dalle condizioni agricole del viticoltore.  Sotto esame  il Saccharomyces cerevisiae , lievito coinvolto nel processo di fermentarne  di cui erano state individuate differenti varietà .Ma il punto da chiarire era come queste contribuissero all’aroma del vino prodotto. La ricerca  Neozelandese ha sequenziato il DNA  del lievito in questione per studiarne le differenze e   li hanno utilizzati per fermentare lo stesso vitigno di Sauvignon Blanc che era stato sterilizzato per escludere la presenza di microbi. Quindi hanno utilizzato le concentrazioni di 39 diversi composti chimici, importanti per il sapore finale, ed il Saccharomyces cerevisiae era usato come prodotto di scarto durante il processo di trasformazione degli zuccheri dell’uva in alcool. Di questi 39  ben 29 composti sono risultati diversi a seconda della regione di provenienza del lievito. E’ la prova scientifica che i microbi del suolo , in cui cresce il vitigno, sono determinanti nel rendere unico e plasmare  il  terroir del vino. Terroir termine che indica lo stretto rapporto che lega un prodotto alle caratteristiche pedoclimatiche del luogo e del suolo in cui ha origine.
Questo spiegherebbe quel 10% di sapore differente nei vini prodotti dagli stessi vitigni, con gli stessi metodi ma in regioni diverse. Quindi le diversità genetiche dei lieviti coinvolti nella fermentazione determinano non solo il sapore del vino ma anche il modo in cui il raccolto cresce e si sviluppa.
Poiché le caratteristiche organolettiche sono importanti per il valore del vino è ovvio che i lieviti, funghi e batteri, contribuiscono a determinarne il carattere come emerso dalla ricerca.

Ma veniamo a noi: prima dello studio neozelandese, ma ancora prima che arrivassero gli studi sulla composizione del suolo, sui profili, sullo studio delle roccia madre, non era l’evidenza e il sapere contadino che aveva da sempre valutato l’importanza degli abitanti della terra e dei lieviti? Onestamente si, ben vengano le evidenze scientifiche che determinano  quel 10% di diversità del sapore dei vini. Differenze che noi abbiamo perché madre natura ci ha dato suoli unici, irripetibili , i cui vitigni ci regalano mille sentori diversi!



Ricerca: SUOLO E PROFILI


Da una lezione di Alessandro Zanutta
Preparatore di vini




“ Definire che cosa è un suolo non’è facilissimo tante sono le sue componenti, ne elenco le più importanti: “ – dice Alessandro Zanutta
1)      Il suolo  è un’entità dinamica in continua evoluzione  anche nel corso dell’anno solare, non solo per le sue componenti geologiche (rocce) quanto per le numerose variabili chimiche, organiche, minerali  che si formano in relazione anche all’ambiente. Fare l’analisi chimico-fisica del suolo vuole dire fare una fotografia statica. E’ necessario invece attuare delle OSSERVAZIONI lungo tutto l’anno.
2)       Il suolo è il prodotto della trasformazione di sostanze organiche e minerali sulla superficie della terra.
3)       Studiare il suolo significa fare una analisi del terreno  e del territorio cui appartiene.
4)       Lo studio del suolo si realizza attraverso lo studio del suo profilo ( buca che si scava vicino le radici della pianta).
5)      Il profilo generalmente è costituito da diversi strati o orizzonti di colore e spessore variabili  costituiti da materiali minerali e/o organici , differenti proprietà chimiche, mineralogiche ecc diversi dalla ROCCIA MADRE che generalmente costituisce lo strato più profondo.
6)      L’alterazione chimica e fisica della ROCCIA MADRE produce una disgregazione della roccia in frammenti molto fini su cui si possono depositare e accumulare detriti. Generalmente i suoli esprimono la natura geologica delle zone erose.
E’ interessante rilevare che ogni suolo ha una sua TESSITURA o dimensione delle particelle minerali che costituiscono appunto la roccia o sabbia o argilla ecc. Ha una STRUTTURA modo di aggregazione delle particelle. La struttura è molto importante perché influenza l’aereazione e la permeabilità quindi il passaggio dell’aria e dell’acqua nel suolo. Una buona struttura è un beneficio per la vitalità e l’attività delle radici della pianta. Si può fare una netta distinzione tra:
TERRENI LIMOSI formati da particelle molto piccole senza agglomerazione quindi con poco assaggio di aria e di acqua.
TERRENI SABBIOSI molto permeabili e aereati ma poveri di elementi nutritivi a causa del forte passaggio di acqua.
TERRENI ARGILLOSI con una buona permeabilità e passaggio di acqua. Costituiscono una buona via di mezzo e sono facili da lavorare.

Altri elementi focali per la vitalità di un terreno sono il PH ovvero l’acidità del terreno. Conoscere il PH è importante in quanto le piante sono diversamente tolleranti a questo parametro che si può riequilibrare con l’aggiunta di diversi elementi nutritivi. Da notare che il PH della pipì di maiale è il ph preferito. Altro elemento è la SOSTANZA ORGANICA (SO), materia di origine biologica presente nel terreno e formata da microrganismi. Ha colore scuro e forma omogenea. Vi sono poi gli ELEMENTI NUTRITIVI come ossigeno, azoto, zolfo ecc chiamati macroelementi e ferro, manganese o microelementi. Infine nel terreno vi sono numerosi ”abitanti” quali molluschi, protozoi. In un grammo di suolo vivono milioni di microrganismi e  nel suolo è rappresentato il 95% della biodiversità dell’intero pianeta! Terreni i cui orizzonti hanno una gradualità di colore sono suoli in cui l’acqua e l’aria hanno una buona circolazione e l’ umidità è collocata tra gli strati. QUINDI la conoscenza del suolo attraverso lo studio del suo profilo è fondamentale per la vitalità della pianta e la produzione di vini di qualità. ”

Ricerca: Le prime immagini "live" dei recettori gustativi



Ottenute con una particolare tecnica microscopica, hanno permesso di studiare l'anatomia del gusto sulla lingua a livello cellulare. Rivelando dettagli finora sconosciuti.



Microscopia a fluorescenza della lingua di un topo.|S. LEE, S. YUN, M. CHOI
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Vedere il gusto può sembrare un ossimoro (o una forma di sinestesi). Eppure per la prima volta è stato possibile catturare immagini ultradettagliate delle cellule gustative distribuite sulla lingua (di un topo) al lavoro. Le foto "live" dell'intero processo sono state acquisite da un gruppo di bioingegneri della Australian National University.

Nell'epitelio che ricopre la lingua umana, nei solchi che circondano le papille, esistono oltre 2 mila calici (o bottoni) gustativi, corpuscoli ovoidali specializzati nel gusto che possono distinguere almeno cinque sapori: dolce, salato, amaro, aspro e umami (anche se qualcuno sospetta vi sia un sesto gusto fondamentale). Ma la relazione tra queste strutture e i recettori in esse contenute rimaneva un mistero.

ANALISI DETTAGLIATA. Con una tecnica chiamata microscopia intravitale multifotone, che consiste nell'illuminare con un laser infrarosso il tessuto da analizzare per evidenziarne le diverse strutture in fluorescenza, i ricercatori sono riusciti a individuare i singoli recettori all'interno di ciascun calice gustativo, e i vasi sanguigni situati fino a 240 micrometri (cioè millesimi di millimetri) sotto alla superficie della lingua.

L'ingegnere biomedico Steve Lee al lavoro sulla tecnica di microscopia. | STUART HAY, ANU
IL RUOLO DEL SANGUE. «Con questa tecnica abbiamo scoperto che ogni gemma gustativa contiene recettori per i diversi sapori» dice Seok-Hyun Yun, della Harvard Medical School. Questi recettori rispondono non solo alle molecole che entrano a contatto con la superficie della lingua attraverso la saliva, veicolando i sapori, ma anche alla composizione chimica del sangue trasportato nei vasi sanguigni che li circondano.

PIÙ COMPONENTI. «Il senso del gusto - aggiungono i ricercatori - potrebbe essere più complesso di quanto credessimo e coinvolgere un'interazione tra il cibo assunto per via orale e la composizione del sangue». Il prossimo passo sarà monitorare le aree cerebrali associate al gusto mentre si ottengono immagini così dettagliate della lingua, per avere un'idea di come funzioni l'intero percorso gustativo.


Da focus.it

lunedì 9 gennaio 2017

Cultura: Visitare Pompei: un’emozione.




La nebbia dei brutti ricordi si è sollevata per lasciarmi quasi stordita di fronte a tanta bellezza. La storia con le sue strade, i commerci, le ville, gli affreschi mi sono  venuti incontro e mi hanno parlato dandomi l’illusione di essere li tra loro e partecipare alla loro vita. Nella magica luce del primo gennaio 2017, accompagnata dalle incantevoli statue di Igor Mitoraj. Pompei oggi, dopo gli splendidi restauri,  ha poco da invidiare a tutte le meraviglie archeologiche sparse nel mondo e sicuramente è l’unica completa testimonianza di come si svolgeva la vita dei Romani soprattutto tra il I e II secolo A.C quando era al massimo del suo fulgore.. fino al 79 D.C quando tutto piombò nell’oscurità e nel silenzio..


Da Sommelier e curiosa del vino eccomi qui sulla Via dell’Abbondanza -principale arteria del commercio di Pompei- davanti al Thermopolio di Vetuzio Placido, importante” vineria” dell’epoca, costituita da bottega,retrobottega e casa attigua in corrispondenza con l’angolo nord-orientale dell’insula ottava. I proprietari probabilmente furono L. Vetutius Placitus,  e la sua compagna Ascula.Nomi che si trovano riportati  sui graffiti della casa e quello di Vetutius su anfore vinarie rinvenute all’interno.
Il termo polio di Vetulius, uno dei più conservati e rappresentativi esercizi commerciali dedicati alla ristorazione ha un bancone policromo (meravigliosamente conservato) rivestito da opus sectis (segmenti marmorei di vario colore) che compongono forme geometriche, completo ancora dei DOLIA (recipienti in terracotta ). In uno di questi è stato ritrovato il contenuto delle casse, costituito da monete in bronzo di piccolo taglio: 374 assi e 1237 quadranti per un valore di circa 170 sesterzi. E’ quasi certo (come riporta la scrittura) che tale somma, essendo costituita da spiccioli, rappresentasse l’incasso della attività commerciale e che fu abbandonata dal proprietario, al momento dell’eruzione, con la speranza di poterla recuperare in un secondo momento. Sul bancone sono state inoltre rinvenute una serie di incavi di varia dimensione che probabilmente servivano a identificare i tagli e la validità delle monete in uso all’epoca.



LE BOTTEGHE
A Pompei nella parte riportata alla luce e restaurata, sono stati individuati 89 Thermopolia, molti dei quali ubicati nella vicinanza di luoghi pubblici come l’anfiteatro, le palestre e terme, avevano tempietti votivi. Molti di queste taverne  oltre ad offrire vitto e vino (le cauponae), avevano locali destinati al pernottamento (gli hospitia,) e altre sale riservate ai piaceri sessuali..per inciso all’epoca d’oro a Pompei esistevano 800 postriboli tutti autorizzati nella cui sala d’attesa si potevano scegliere le “ posizioni” descritte sulle pareti della sala.. Era autorizzata e legale la pratica della omosessualità. Alle donne veniva sacrificata la testa…
Per una misura di vino comune si pagava 1 asse, per una di vino di Falerno 4 assi e per un piatto di farina e farro 1 asse. L’alimentazione era basata principalmente su verdura, frutta, pane, olio, pesce (Pompei era anche un antico porto fluviale) e non mancava la selvaggina. I Pompeiani come del resto tutti i romani mangiavano in abbondanza, piacevolmente, essendo il pasto anche un momento ludico e di svago.


I DOLIUM
Grande giara in terracotta adibita all'immagazzinamento di alimenti e potevano essere interrate (dolium defossum) dove vi si conservava il vino (dolium vinarium) o altri liquidi come l’olio (dolium olearium) ma anche prodotti secchi come fichi, farro e grano (dolium frumentarium, acinarum, amurcarium). I dolium avevano spesso base piatta per essere poggiati a terra.

Cultura: Il vino a Pompei

“ Da dove potremmo iniziare se non dalle viti, per le quali la supremazia dell’Italia è incontestabile, tanto che solo con le sue vigne sembra aver vinto tutte le altre genti, persino quelle che producono profumi; e d’altronde  cosa si può preferire alla vista di una vigna fiorita?” 
(Plinio Il Vecchio)



Il vino, dopo l’acqua, era la bevanda più utilizzata nel mondo romano antico. Rimedio contro gli affanni (Properzio) addirittura benefico fino alla ubriachezza quando si trattava di gravi preoccupazioni( Seneca), piacevole rimedio contro le malinconie (Orazio), complice nelle notti d’amore. Il vino non mancava nella vita dei romani e nella vita dei Pompeiani. Nei Thermopolia che si aprivano sulle strade della città, il vino era servito caldo, quando accompagnato da cibi già pronti, in quanto  serviti con facilità. Una manifestazione di ricchezza era il vino raffreddato nella neve, per non parlare del vino consolare a ricordo del nome di un console.. Vini che erano stati custoditi in speciali cantine  sotto il consolato di un antico console e degustati in particolari circostanze.
Vino mielato e vino speziato per dare sapore al vino vecchio Falerno: si perché anche Plinio, come Columella, consigliavano di bere vino vecchio anche se dal sapore amaro diversamente da Marziale che lo preferiva allo stato puro. A ognuno il suo: chi lo amava con aggiunta di mirto, chi di mirra,chi di menta, chi di semplice pepe. C’ere anche chi aveva inventato il Falerno rosato ottenuto con infusione di petali di rosa cui veniva tolta l’unghia bianca con un procedimenti ripetuto più volte al giorno. Piacevano i bagni di vino, antesignani dell’attuale bains au vin.
Pompei non  è da meno, conservato nei Dolia, vasi in terracotta tipici delle thermopolia, e molto soggetto ad aria e agenti esterni, questo vino deperiva molto facilmente e assumeva prestissimo sapore di aceto. Per questa ragione  era molto speziato con cannella e affini, miele o ancora più spesso allungato con semplice acqua. La locandiera o magister bibendi non mancava e non solo per riscuotere il dovuto ma più spesso per indicare e servire a chi andava il falerno puro.. tanto per dare tono al momento e alla serata.

 E parliamo del Falerno, gran cru in età repubblicana, conosciuto agli inizi del I sec A.C e considerato già ottimo vino da Plinio, che muore durante l’eruzione del 79 d.c. Rispetto all’altro famoso vino di allora il Cecubo, il Falerno avrà lunga vita anche se Plinio non potè fare a meno di segnalare una fase si regresso attribuita, secondo lui a unna cattiva coltivazione da parte di chi era più interessato alla quantità che alla qualità.

Prodotto nella Campania antica settentrionale, nell’Ager Falernus, corrispondente all'attuale provincia di Caserta, in particolare nei comuni di Mondragone, Sessa Aurunnca, Celolle dove si produce il Falerno del Massico DOC, il Falerno conosce una datazione che addirittura risale a prima del III secolo A.C (già considerato un ottimo prodotto enologico) risalente ai Greci. 
E’ verosimile che costoro abbiano introdotto tecniche di vinificazione presso le popolazioni  stanziate vicino Capua,, anche se solo con l’arrivo dei romani nel IV secolo ci furono le condizioni per produrre e commercializzare questo vino in Campania e nel resto dell’Italia Meridionale. La prima anfora vinaria utilizzata dai romani, che per altro è la guida della produzione enologica nell’Ager Falernus è un contenitore, utilizzato nella Magna Grecia e preso in prestito per trasportare il surplus di produzione provenienti dalle coste Tirreniche. Si fa risalire a cavallo tra il III e II secolo A.C la produzione di anfore vinarie per il trasporto del vino falerno anche se in quel periodo non possiamo considerarlo DOC.