Alzheimer e alcool moderato: una prevenzione possibile!
A proposito di assunzione di alcool come fattore protettivo
per le demenze, abbiamo rivolto alcune domande al Prof Massimo Musicco,
ricercatore CNR, Istituto per le Tecnologie Biomediche, Segrate( Mi) e Presidente
SINDEM ( Società Neurologica per lo Studio delle Demenze).
Nell'ambito
delle abitudini di consumo moderato di alcol, quali erano state le conclusioni
riportate nel Documento di Consenso del 2013 relative al rischio di demenza di
Alzheimer?
Le evidenze disponibili e sulle quali avevamo
basato le nostre conclusioni suggerivano che un moderato consumo di alcol
potesse esercitare un effetto protettivo nei confronti delle demenze in
generale e della demenza di Alzheimer in particolare.
Quali
sono stati gli studi che più hanno contribuito a tali conclusioni?
Ci siamo basati sugli studi di coorte più
significativi, che avessero solida metodologia e che avevano studiato
l’associazione fra consumo di alcol e demenza. Tra le ricerche considerate che
vorrei citare c’è il Rotterdam Study, iniziato nel 1990 in Olanda e uno studio
Italiano, pubblicato nel 2007 su Neurology da colleghi ricercatori di Bari (Solfrizzi
V, D’Introno A, Colacicco AM, Capurso C, Del Parigi A, Baldassarre G, et al. Alcohol consumption, mild cognitive impairment, and
progression to dementia. Neurology; 2007. p. 1790-9).
Quale
meccanismo d'azione si può ipotizzare per questi risultati?
Secondo quanto avevamo riportato nel 2013 e di cui
continuiamo a essere convinti, è l’alcol in sé a esercitare questo moderato
effetto protettivo. Quindi non è il tipo di bevanda alcolica (vino, birra,
superalcolico) a determinare l’azione protettiva. D’altro canto, a supporto di
questa idea vi sono evidenze sperimentali che l’etanolo di per sé possa
contrastare l’effetto neurotossico dell’amiloide, e che quindi possa agire
direttamente su quello che è ipotizzato essere il meccanismo patogenetico della
malattia di Alzheimer. Resta comunque da dire che il vino rosso, e quindi una
specifica bevanda alcolica, contiene sostanze che contrastano i processi
ossidativi e che questi processi sono generalmente considerati una concausa di neurodegenerazione.
Si deve poi considerare che il moderato consumo di
alcol si associa ad abitudini alimentari complessivamente corrette e in
particolare alla cosiddetta dieta mediterranea che, a sua volta, è risultata
protettiva nei confronti della demenza. Non si può pertanto escludere che
specifici pattern alimentari che prevedono una moderata assunzione di alcol
siano la reale spiegazione dell’effetto protettivo esercitato dall’alcool
stesso.
Quali conclusioni
potremmo trarre valide anche oggi?
La prima: ci sono evidenze a favore di un effetto
neuroprotettivo associato al moderato consumo di alcool, ma non ai livelli
superiori di assunzione, e quindi va fortemente contrastata e combattuta
l’eccessiva assunzione di alcolici.
La seconda: se un soggetto assume alcol a dosi
moderate, in assenza di situazioni ben definite di rischio, già accennate nelle
altre presentazioni, non deve essere incoraggiato a smettere.
Ci sono
studi mirati anche sul MCI (Mild Cognitive Impairment)?
Certamente. Vorrei citare lo studio spagnolo
ZARADEMP, condotto nell’area della città di Zaragoza (Saragozza) e pubblicato
nel 2010 dal gruppo di Lobo, in cui emerge che il consumo moderato di alcol
rallenta il declino cognitivo. Attenzione, però: in quello studio gli
ex-bevitori mostravano un rischio di rapido declino cognitivo decisamente
aumentato. Ciò non significa ovviamente che smettere di bere alcolici è dannoso,
ma che una delle motivazioni per smettere di bere alcolici è probabilmente riconducibile
alla persona, che avverte soggettivamente una riduzione delle proprie capacità
cognitive, sintomo questo che caratterizza la demenza in fase iniziale.
Ci sono poi i dati di un ampio studio di popolazione,
di tipo prospettico, condotto in Cina, che ha valutato il rischio di evoluzione
da MCI a demenza, in funzione del consumo di alcol: anche in questo caso si è
visto che chi era moderato consumatore di alcol da tutta la vita, oppure aveva
iniziato da poco al momento della prima osservazione, risultava più protetto
dal rischio di evoluzione in demenza, rispetto agli astemi.
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