“ Da dove potremmo iniziare se non
dalle viti, per le quali la supremazia dell’Italia è incontestabile, tanto che
solo con le sue vigne sembra aver vinto tutte le altre genti, persino quelle
che producono profumi; e d’altronde cosa
si può preferire alla vista di una vigna fiorita?”
(Plinio Il Vecchio)
Il vino, dopo
l’acqua, era la bevanda più utilizzata nel mondo romano antico. Rimedio contro
gli affanni (Properzio) addirittura benefico fino alla ubriachezza quando si
trattava di gravi preoccupazioni( Seneca), piacevole rimedio contro le
malinconie (Orazio), complice nelle notti d’amore. Il vino non mancava nella
vita dei romani e nella vita dei Pompeiani. Nei Thermopolia che si aprivano
sulle strade della città, il vino era servito caldo, quando accompagnato da
cibi già pronti, in quanto serviti con
facilità. Una manifestazione di ricchezza era il vino raffreddato nella neve,
per non parlare del vino consolare a ricordo del nome di un console.. Vini che
erano stati custoditi in speciali cantine
sotto il consolato di un antico console e degustati in particolari
circostanze.
Vino mielato e
vino speziato per dare sapore al vino vecchio Falerno: si perché anche Plinio,
come Columella, consigliavano di bere vino vecchio anche se dal sapore amaro
diversamente da Marziale che lo preferiva allo stato puro. A ognuno il suo: chi
lo amava con aggiunta di mirto, chi di mirra,chi di menta, chi di semplice
pepe. C’ere anche chi aveva inventato il Falerno rosato ottenuto con infusione
di petali di rosa cui veniva tolta l’unghia bianca con un procedimenti ripetuto
più volte al giorno. Piacevano i bagni di vino, antesignani dell’attuale bains
au vin.
Pompei non è da meno, conservato nei Dolia, vasi in
terracotta tipici delle thermopolia, e molto soggetto ad aria e agenti esterni,
questo vino deperiva molto facilmente e assumeva prestissimo sapore di aceto.
Per questa ragione era molto speziato
con cannella e affini, miele o ancora più spesso allungato con semplice acqua.
La locandiera o magister bibendi non mancava e non solo per riscuotere il
dovuto ma più spesso per indicare e servire a chi andava il falerno puro..
tanto per dare tono al momento e alla serata.
E parliamo del Falerno, gran cru in età repubblicana, conosciuto agli inizi del I sec A.C e
considerato già ottimo vino da Plinio, che muore durante l’eruzione del 79 d.c.
Rispetto all’altro famoso vino di allora il Cecubo, il Falerno avrà lunga vita
anche se Plinio non potè fare a meno di segnalare una fase si regresso
attribuita, secondo lui a unna cattiva coltivazione da parte di chi era più
interessato alla quantità che alla qualità.
Prodotto nella Campania antica settentrionale, nell’Ager Falernus, corrispondente
all'attuale provincia di Caserta, in particolare nei comuni di Mondragone,
Sessa Aurunnca, Celolle dove si produce il Falerno del Massico DOC, il Falerno
conosce una datazione che addirittura risale a prima del III secolo A.C (già
considerato un ottimo prodotto enologico) risalente ai Greci.
E’ verosimile che
costoro abbiano introdotto tecniche di vinificazione presso le popolazioni stanziate vicino Capua,, anche se solo con
l’arrivo dei romani nel IV secolo ci furono le condizioni per produrre e
commercializzare questo vino in Campania e nel resto dell’Italia Meridionale.
La prima anfora vinaria utilizzata dai romani, che per altro è la guida della
produzione enologica nell’Ager Falernus è un contenitore, utilizzato nella Magna Grecia e preso in prestito per
trasportare il surplus di produzione provenienti dalle coste Tirreniche. Si fa
risalire a cavallo tra il III e II secolo A.C la produzione di anfore vinarie per
il trasporto del vino falerno anche se in quel periodo non possiamo
considerarlo DOC.
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