LE TERRE DELL'AGLIANICO
di Giovanni Corbo
Si era svegliato
grondando sudore. Quell’enorme letto occupato dal suo corpo malato, gli fece
avvertire la solitudine.
Dalla piccola finestra Giovanni scorgeva il sole che accennava la discesa sui
colli del Sannio, ricoperti dal verde dei vigneti, e pensò che non mancava poi
molto al ritorno di Anna.
Una scarica di colpi di tosse lo prostrò nuovamente, squassandogli il petto.
Quella maledetta polmonite. Quella maledetta guerra, quella maledetta Russia,
le cui gelide temperature lo avevano inchiodato ad un letto. Quella maledetta
ferita che lo aveva debilitato a tal punto che il suo corpo sofferente non
opponeva più alcuna resistenza alla malattia.
Il ritorno a casa non era stato accolto festosamente dalla famiglia.
D’altronde una sola casa e quattordici persone tra padre e matrigna, fratelli,
sorelle, sua moglie e i suoi figli. Poca terra da coltivare, il vigneto così
delicato da portare innanzi con le poche piogge che cadevano su questa terra
così aspra, ma che offriva quell’Aglianico dal gusto così profumato e forte che
la sua gola riarsa riusciva ancora ad assaporare a pieno. E lui, ormai inidoneo
a qualsiasi lavoro, buono solo a soffrire in un letto, con buona pace di tutta
la famiglia.
Anna comunicò a suo suocero che doveva far ritorno a casa per accudire
Giovanni. Il vecchio, con lo sguardo duro, non rispose e continuò a lavorare.
Gli sguardi degli altri la seguivano mentre si allontanava, zappa in spalla,
con passo rapido e deciso.
Vide la casa da lontano. Non era grande, ma il luogo era bello, sulla sommità
della collina, la Castelluccia, da cui si potevano vedere i paesi vicini,
Torrecuso, Fragneto, San Lupo, Paupisi, finanche Guardia Sanframondi da un
lato, Benevento, fino a Circello dall’altro.
Sarebbero potuti essere felici lei e Giovanni in questo posto senza quella
malattia, ma, nonostante tutto, era bello accudire Giovanni, raccontargli la
giornata, scorgere il suo sincero interesse per il vigneto che sembrava più
carico degli anni precedenti.
Ciò che l’affliggeva erano gli attacchi di tosse che lo dominavano non
lasciandogli fiato, mozzandogli il respiro e la malinconia che lo catturava nei
momenti di maggior fervore nella vigna, costretto al letto quando manifesta
diventava la sua inutilità.
- Giovanni sono arrivata - gridò Anna, appena varcata la soglia di casa,
pentendosi un istante dopo per il timore di averlo svegliato. Ma no, ecco che
rispondeva con la sua lenta e stanca voce, eppure così gradevole. Entrò in
camera e lo strinse a sé, come fosse un bambino. Lui rispose con un sorriso,
piano. Anna passò ad aggiustargli i cuscini, mentre le chiedeva della campagna.
Voleva sapere dell’uva. Se fosse già matura e quando si prevedeva la vendemmia.
Anna intanto gli porgeva un bicchiere di Aglianico, che lui sorseggiava
lentamente quasi volesse, attraverso il sapore, raggiungere l’odore dell’uva
matura appesa alle viti, quasi volesse, assaporandone il gusto pastoso,
percorrere le ondulazioni della terra dove era piantata la sua vigna.
Intanto Anna gli porgeva la polenta condita con il sugo. Gli tagliò una fetta
di formaggio che lui mangiò con un pò di pane.
- Vorrei tanto provare un pò d’uva. Dovrebbe essere già matura là a Vignale
Luongo. -
Non gli rispose e si accinse a sparecchiare. Guardandola affaccendarsi un senso
di sfinimento lo sopraffece e si addormentò.
Anna aveva previsto che si sarebbe addormentato. Aveva deciso che al risveglio
il marito avrebbe mangiato la sua uva.
Si avvolse un fazzoletto intorno ai capelli, prese il paniere di vimini con cui
si recava al mercato a vendere le uova, vi mise un tovagliolo, le forbici, poi
uscì.
Dalla Castelluccia a Vignale Luongo, la loro vigna, c’erano più di cinque
chilometri che al ritorno avrebbe dovuto percorrere in salita gravata dal peso
del paniere pieno d’uva. I suoi pensieri non consideravano le distanze. Passo
dopo passo immaginava la riarsa bocca di suo marito che accoglieva quegli acini
così dolci. Pregustava la sorpresa di Giovanni nel trovare l’uva che sapeva non
essere in casa. Non si fermò neanche a salutare la comare di battesimo che
tante volte l’aveva invitata.
Ecco, aveva raggiunto il ponte sul Calore. Altri cinque minuti, poi dietro la
curva c’è il viottolo che conduce alla vigna.
L’Aglianico è dopo le prime viti del bianco Trebbiano; quello più maturo è li
vicino al ruscello.
Ripose il tovagliolo nella tasca della gonna, incominciò a tagliare. Dopo
qualche minuto si fermò, né assaggiò qualche acino, mentre lo sguardo vagava
intorno, posandosi al canneto tra le viti e il ruscello. Ricordò quando, appena
sposati, lei e Giovanni vennero da soli a togliere le pietre dalla vigna.
Ricordò l’attimo di pausa in cui si accorse dello sguardo di Giovanni fisso su
di lei. Rivisse la fiamma che in quel momento le bruciò le viscere. Rivide le
sue mani che la prendevano con ferma dolcezza e la accompagnavano al riparo
delle canne. E ricordò l’amore che si scambiarono vicino all’acqua, i loro
corpi che si cercavano trovandosi.....
Il paniere era pieno. Coprì l’uva con il tovagliolo. Il sole aveva raggiunto la
montagna del Taburno. Nonostante la salita, non avvertiva la fatica e chi
l’avesse incontrata, avrebbe visto una allegra spensieratezza dipinta sul suo
viso.
Prima di arrivare a casa, notò che non vi erano pecore nel recinto. Ne fu lieta
perché significava che il vecchio e i suoi cognati non erano ritornati
altrimenti avrebbero chiamato suo figlio Pinuccio che badava agli animali.
Desiderava rimanere da sola con suo marito. Trovò Giovanni ancora addormentato
nel suo sonno agitato. Ebbe il tempo di scendere al pozzo a lavare l’uva.
Giovanni si destò sentendo cigolare la carrucola del pozzo. Non avvertendo
alcun rumore in casa suppose che Anna stesse prendendo l’acqua per la cena. La
vide entrare in camera con il piatto colmo d’uva. Aveva ancora il fazzoletto
che le nascondeva i ricci capelli neri. Fu bello vedere lo stupore del suo
volto cambiarsi in felicità. Fu bello vedere che aveva capito. Non riusciva a
crederci, ma aveva capito. Prese l’uva dalle sue mani. L’assaggiò cercandole
gli occhi, mentre i suoi bagnavano di lacrime l’uva.
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